“Era papà alla guida” Condannata per falso ideologico

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“Era papà alla guida” Condannata per falso ideologico

Rischia una condanna penale per falso ideologico chi, per salvarsi dalla decurtazione dei punti della patente, dichiari falsamente che alla guida del veicolo con cui sia stata commessa un’infrazione stradale fosse un’altra persona.

E’ quanto desumibile dalla sentenza di Cassazione n. 12779 del 16 marzo 2017, con la quale è stata confermata la condanna per il reato di cui all’articolo 483 del Codice penale a carico di una donna, imputata per aver affermato, nella dichiarazione trasmessa alla Polizia municipale in relazione ad un verbale di contravvenzione, che alla guida del veicolo vi era, nell’occasione, il padre.

La multa era stata elevata nei confronti del conducente dell’autovettura intestata all’imputata, per aver guidato utilizzando un telefono cellulare.

Verbalizzante: alla guida era una donna

In particolare, l’affermazione contenuta nella dichiarazione era stata ritenuta falsa dai giudici di merito in base a quanto riferito dal verbalizzante della contravvenzione, secondo il quale la persona che si trovava alla guida dell’auto con il telefono cellulare in mano era, in realtà, una donna.

Circa la configurabilità del reato, i giudici di Cassazione hanno ricordato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, per i quali il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico sussiste allorché la dichiarazione del privato sia trasfusa in un atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti attestati.

Questo avviene quando la legge obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti al documento nel quale la dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente.

E, in particolare – conclude la Corte - la dichiarazione sull’identità del conducente produce l’effetto di individuare il soggetto destinatario della sanzione amministrativa, concludendo correttamente il relativo procedimento.

Esclusa non punibilità per particolare tenuità

Nella medesima pronuncia, la Suprema corte ha altresì escluso la ravvisabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, per come dedotta dalla ricorrente.

Per gli Ermellini, dalla complessiva argomentazione dei giudici di merito era ricavabile un’implicita giustificazione del disconoscimento di detta causa di non punibilità nei richiami alla gravità del fatto, ai precedenti penali dell’imputata e alla sfrontatezza mostrata dalla stessa.

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