Il Fisco va condannato al risarcimento dei danni se l'autotutela non è tempestiva

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La Corte di cassazione, con sentenza n. 5120 del 3 marzo 2011, ha respinto il ricorso con cui l'Agenzia delle entrate aveva impugnato una decisione del Giudice di pace di condanna, a suo carico, al risarcimento dei danni subiti da un contribuente che era stato raggiunto da un atto di accertamento illegittimo.

L'uomo, in particolare, aveva prontamente presentato al Fisco una documentazione che attestava l'errore in cui l'amministrazione era incorsa; non solo, lo stesso aveva più volte sollecitato l'Ufficio, anche a mezzo del proprio commercialista, a procedere con l'annullamento in autotutela dell'atto; tuttavia, solo quando il contribuente si era determinato a presentare ricorso, il Fisco, riconosciuto un errore contabile, aveva comunicato l'emissione di un provvedimento di rimborso delle somme iscritte a ruolo.

Il giudice di pace successivamente adito aveva riconosciuto al contribuente il diritto ad un ristoro di circa 900 euro, sostenendo che anche la pubblica amministrazione era da considerare gravata dall'obbligo di rispettare il principio fondamentale del “neminem laedere”.

A fronte delle diverse conclusioni dell'amministrazione finanziaria ricorrente, secondo cui “l'annullamento in autotutela non si configura come obbligo bensì come mera facoltà dell'amministrazione”, i giudici di Cassazione hanno ritenuto logicamente motivate le statuizioni del primo giudice. In particolare – si legge nel testo della decisione - “l'attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell'art. 2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo”.
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