Legittimo licenziamento disciplinare del lavoratore dipendente per uso improprio di social network e mezzi di comunicazione

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Pesi e contrappesi Tra diritto alla riservatezza e controllo delle prestazioni 

Sin da Montesquieu, che argomentando la separazione dei poteri nello Spirito delle Leggi (1748) parlava di check & balances per mantenere l’equilibrio fra poteri istituzionali, al fine di scongiurare l’assolutismo e salvaguardare la libertà personale, si fece riferimento a modelli di pesi e contrappesi.

Analogamente, nell'ambito della complessa dinamica delle relazioni industriali, è talvolta, necessario un bilanciamento fra il diritto alla riservatezza della corrispondenza - garantito al lavoratore sia dal 1° co. dell’art. 15 Cost. “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili” che dal D. Lgs. 196/2003 c.d. Codice della Privacy - ed il diritto del datore di lavoro di controllare l’esatto adempimento delle prestazioni del lavoratore ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro messi a disposizione di quest’ultimo.

Codesti sono tutti diritti garantiti al datore di lavoro dagli artt. 2104 e 2105 che prevedono i doveri di diligenza, fedeltà e correttezza del lavoratore, nonché dagli artt. 2086 e 2087 c.c. che consentono il controllo dell’effettivo adempimento della prestazione lavorativa ed il consono utilizzo degli strumenti messi a disposizioni del lavoratore.

Controlli che, tuttavia, devono rispettare la libertà e la dignità del lavoratore così come stabilito dall’art. 4 della L. 300/1970 c.d. Statuto dei Lavoratori.Questione che diventa ancor più delicata laddove, come nel caso di esame, trovi intersezione con l’utilizzo di strumenti tecnologici di comunicazione che, come noto, hanno carattere personale e sono garantiti dalle norme introdotte dall'art. 4 della L. 547/1993 che ha inserito nel codice penale i reati contro il domicilio informatico di cui agli artt. 615-ter e ss.

Giurisprudenza italiana ed interventi Garante della Privacy

Prima di tutto va detto che il divieto di ogni forma di controllo occulto sancito dall'art. 3 St. Lav., ha subito delle attenuazioni ad opera della giurisprudenza di merito. La stessa, infatti, ha ritenuto lecito detto controllo laddove il lavoratore ponga in essere dei comportamenti illeciti esulanti dalla normale attività lavorativa durante lo svolgimento di quest’ultima.

Pertanto, in tale situazione, il controllo, non solo è ritenuto ammissibile in quanto gli atti ed i comportamenti posti in essere dal lavoratore possono configurarsi quale fonte di responsabilità extracontrattuale nei confronti del datore di lavoro, ma non configurerebbe nemmeno la violazione del divieto dell’uso di impianti audiovisivi per il controllo a distanza vietati dall'art. 4 dello St. Lav. (fra le molte, si veda Corte di Cassazione, sentenza n. 9836 del 18.9.1995, n. 9836; Corte di Cassazione n. 7776 del 23.8.1996; Corte di Cassazione, sentenza n. 1619 del 10.7.2009; Corte di Cassazione n. 23303 del 18.11.2010).

In ogni caso, affinché il controllo sia legittimo, non è necessario che l’illecito sia già stato compiuto ma resta “giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione degli illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che degli illeciti siano in esecuzione” (così, fra tutte, Corte di Cassazione n. 3590 del 14.2.2011; Corte di Cassazione 23303 del 18.11.2010).

In ogni caso resta fermo che i controlli sulla navigazione internet, sui social network e sulla posta elettronica, sono possibili unicamente quando sia rispettato il 2° co. dell’art. 4 dello St. Lav., secondo cui Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti”.

La delicatezza della questione dell’utilizzo di internet, dei social network e della posta elettronica nel luogo di lavoro non poteva, certamente, non interessare Autorità Garante per la Privacy.

Infatti, oltre all’invito di cui all’art. 111 del Codice Privacy - che suggerisce ai soggetti pubblici e privati che trattano dati personali per finalità previdenziali o per la gestione di rapporti lavoro, a dotarsi di un codice di buona condotta - si è pronunciata con specifica deliberazione n. 13 del 1.3.2007, dettando delle Linee guida per la gestione di dette situazioni.

Nell'occasione, l’Autorità Garante, ha specificato che è da considerarsi vietato il trattamento dei dati personali, effettuato mediante sistemi hardware e software, finalizzati al controllo a distanza.

Inoltre, il datore di lavoro ha l’ulteriore onere di adottare misure tecnologiche volte a minimizzare il rischio derivante da controlli ed escludere la diffusione abusiva di dati. Pertanto è doveroso utilizzare metodologie differenziate a seconda che la tecnologia interessata sia la posta elettronica o la navigazione in Internet.

Infine, in capo al datore di lavoro, ricade l’onere, previsto dall'art. 13 del Codice della Privacy, di informare i lavoratori circa le finalità e le modalità con cui i loro dati saranno trattati.

Lecito il licenziamento dopo controllo delle comunicazioni aziendali

La vicenda trattata nella controversia in oggetto, riguarda il sig. Barbulescu; un lavoratore rumeno licenziato che aveva adito il Tribunale rumeno, obiettando come la decisione del suo licenziamento fosse viziata da nullità, per violazione del suo diritto alla privatezza della corrispondenza, protetto dall’art. 8 della CEDU (convenzione europea dei diritti dell’uomo).

Il Tribunale rumeno aveva tuttavia rigettato il ricorso, poiché il datore di lavoro aveva rispettato la procedura di licenziamento previsto dal codice del lavoro, informando il ricorrente delle modalità di controllo attraverso il regolamento della società.

Esperiti invano tutti i mezzi di ricorso avanti i Tribunali rumeni, il sig. Barbulescu, aveva dunque presentato ricorso dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Tuttavia la Corte Europea - evidenziando come la decisione dell’autorità rumena non avesse fatto alcuna menzione del contenuto delle comunicazioni ma unicamente prodotto estratti delle comunicazioni, al fine di provare che il sig. Barbulescu aveva utilizzato il computer aziendale per fini privati durante le ore di lavoro -  si era pronunciata sulla legittimità di tale provvedimento. Tant’è vero che neppure l'identità delle persone con le quali il Barbulescu aveva comunicato, era emersa nel corso del processo dinnanzi i Tribunali rumeni.

Tutto ciò premesso, la Corte Europea sentenziava considerando legittime le pronunce delle autorità rumene e, pertanto, riteneva rispettato il giusto equilibro fra i diritti del Barbulescu, garantiti dall’art. 8 CEDU e gli interessi contrapposti del datore di lavoro alla verifica dell’attività lavorativa.

Dunque il licenziamento disciplinare era da considerarsi pienamente legittimo. PELUSO

Quadro normativo

art. 15 Cost.;

D.Lgs 196/2003;

art. 2104 c.c.;

art. 2105 c.c.;

art. 2086 c.c.;

art. 2087 c.c.;

Legge 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori);

Legge 547/199;

art. 615 ter c.c.;

Corte di Cassazione, sentenza n. 9836 del 18.9.1995;

Corte di Cassazione, sentenza n. 7776 del 23.8.1996;

Corte di Cassazione, sentenza n. 1619 del 10.7.2009;

Corte di Cassazione, sentenza n. 23303 del 18.11.2010;

Corte di Cassazione, sentenza  n. 3590 del 14.2.2011;

Autorità Garante della Privacy, Deliberazione n. 13 del 1.3.2007;

Corte europea diritti dell’uomo, sentenza Barbulescu c. Romania (61496/08);

art. 8 CEDU.

 

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