Riforma del Lavoro. Il nuovo licenziamento individuale

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Nel dialogo per la Riforma del Lavoro, governo e sindacati hanno sperimentato il contrasto sulla disciplina dei licenziamenti, specie riguardo al dato letterale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300 del 1970), dedicato appunto alla materia dei licenziamenti individuali. Quel contenuto, il Legislatore rivisita - paragrafo 3.1 del Disegno di legge di riforma, rubricato «Revisione della disciplina in tema di licenziamenti individuali» - per giungere, attraversando l’intervento sulle tipologie contrattuali e l’abolizione parziale della reintegrazione quale unico rimedio al licenziamento illegittimo, a garantire innanzitutto ai giovani maggiore occupazione.

ATTENZIONE: sono interessati dalla novità i datori di lavoro, che siano imprenditori o che non lo siano, che dispongono di più di 15 dipendenti in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nelle stesso comune o più di 60 nel territorio italiano.

ARTICOLO 18.

E’ mantenuta la nullità del licenziamento discriminatorio (art. 18, comma 1, L. 300/70, come modificato dall’art. 14 Ddl) che comporta, dietro sentenza, la condanna del datore a reintegrare il lavoratore e a corrispondergli, a titolo risarcitorio, la retribuzione globale di fatto e contributi dal momento del licenziamento a quello della reintegrazione (la misura del risarcimento, a meno di opzione per il pagamento di un’indennità pari a 15 mesi di retribuzione la cui possibile richiesta ad opera del lavoratore comporta tuttavia la risoluzione del rapporto, non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto); non lo sono i rimedi posti dalla vecchia disciplina contro i licenziamenti nulli, annullabili, inefficaci, che il nuovo testo dell’articolo 18 distingue in relazione alla circostanza che il licenziamento segua motivi disciplinari, economici ovvero manchi di forma scritta. Il Ddl prevede che il recesso vada, questa volta, non solo comunicato in forma scritta, come richiesto dalla disciplina in vigore (Legge n. 204 del 1996), anche motivato nella comunicazione.

Nei licenziamenti disciplinari – inferti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (art. 18, comma 4, L. 300/70, come modificato dall’art. 14 Ddl) – la sanzione applicabile nel caso di annullamento del licenziamento è rimessa al giudice. Questi deciderà tra:

- il pagamento, che spetta al lavoratore, di un importo a titolo di risarcimento del danno (variabile tra le 15 e le 27 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, considerati l’anzianità del prestatore di lavoro, le iniziative assunte da quest’ultimo per la ricerca di una nuova occupazione e il comportamento delle parti durante la procedura)

o

- la reintegrazione – con risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni perse fino ad un massimo di 12 mensilità (altra novità del Ddl, questa porta vantaggio per il datore se il processo dura più di un anno, nel qual caso i costi retributivi e contributivi si fermerebbero a 12 mesi), oltre al pagamento dei contributi - nel posto di lavoro, ma solo nelle ipotesi in cui il fatto non sia stato commesso dal lavoratore o debba essere sanzionato con un provvedimento disciplinare meno grave, quindi con una sanzione conservativa, o, ancora, nel caso in cui il licenziamento venga intimato prima della scadenza del periodo di comporto (operando, in questo caso, il divieto di licenziamento del lavoratore assente per malattia o infortunio) o, infine, qualora il licenziamento sia «motivato dall’inidoneità fisica o psichica del lavoratore».

Prevede il Ddl che il licenziamento debba essere preceduto, su iniziativa del datore di lavoro, dal tentativo di conciliazione - c.d. “conciliazione preventiva” - presso la Direzione provinciale del lavoro, incentivato dalla ulteriore previsione dell’erogazione, in favore del lavoratore che accetta la conciliazione, di un voucher per fruire di un servizio specializzato di outplacement. Il risarcimento corrispondente ad una cifra tra le 15 e le 27 mensilità riguarda anche il licenziamento viziato nella forma o nelle procedure disciplinari. Il giudice semplicemente rileverà il vizio di forma o procedura e il lavoratore otterrà un’indennità inferiore, compresa tra le 7 e 14 mensilità di retribuzione.

RITO PROCESSUALE VELOCE.

Il Ddl annuncia un rito più veloce per i licenziamenti, intervenendo sul processo del lavoro come riformato nel 1973 e come oggi opera, attraverso il Codice di procedura civile.

E’ auspicio che l’accelerazione che l’esecutivo intende imprimere al rito non si traduca nell’impedire la difesa ad una delle parti del processo, imponendo tempi impossibili, ad esclusivo vantaggio dell’altra.

Scrive a tal proposito la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, nella circolare numero 8 del 13 aprile 2012, di analisi tecnica delle disposizioni contenute nel Ddl in tema di licenziamento, che la scelta del legislatore, che pare quella di indirizzare obbligatoriamente le controversie nelle indicate materie verso la procedura in esame, sottraendola al rito ordinario di cui agli artt. 409 e ss del Cpc, che questo aspetto crea fitte perplessità, atteso che la sommarietà del nuovo rito male si adatta alla complessità di istruttoria propria delle controversie in commento.

La posizione difensiva del datore di lavoro, cui incombe generalmente l’onere della prova, assumerà dunque presto (le nuove disposizioni in esame si applicano alle controversie instaurate successivamente all’entrata in vigore del Ddl) - è anche il giudizio dei Consulenti del Lavoro - toni particolarmente gravi e difficili.

(*)

FORMA DELLA DOMANDA E PROCEDIMENTO SOMMARIO

La domanda si propone con ricorso nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 125 c.p.c.1 e non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui all’art. 16 DDL, salvo che siano fondate sugli stessi fatti costitutivi. Sembra potersi rilevare che il legislatore voglia riferirsi alle richieste di ulteriori risarcimenti di danni patrimoniali e non, subiti dal lavoratore in conseguenza dell’illegittimo licenziamento, in riferimento ai quali, peraltro la forma del procedimento sommario risulterebbe essere sicuramente non adatta, attesa la necessità di indagini peritali, talora anche complesse e di fasi testimoniali. Rimangono dubbi circa la possibilità da parte del datore di lavoro di proporre domande riconvenzionali che trovino comunque il loro fondamento nelle ragioni del licenziamento (es. ipotesi di danni causati all’azienda anche nell’ipotesi dell’appropriazione indebita).

L’art. 17, poi, stabilisce che a seguito della presentazione del ricorso il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti, con decreto da notificarsi a cura del ricorrente, anche a mezzo di posta elettronica certificata. Tale puntualizzazione è sicuramente interessante, ma necessiterebbe di una più precisa regolamentazione delle notifiche con PEC. Inoltre, la norma non regolamenta la costituzione del convenuto e tace in merito ai requisiti dell’atto costitutivo del convenuto medesimo.

L’udienza di comparizione deve essere fissata non oltre trenta giorni dal deposito del ricorso (comma 2). La norma, probabilmente, va intesa nel senso che l’udienza deve tenersi non oltre il trentesimo giorno dal deposito del ricorso; diversamente si vanificherebbe il senso dell’urgenza del rito. Il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio. Il legislatore, quindi, opta per un sistema in cui il giudice ha ampi poteri inquisitori e dispositivi, nel quale sembrerebbero non trovare cittadinanze le eccezioni processuali delle parti; l’unico obbligo formale in capo al giudicante è quello di sentire in via preliminare le parti. Lo schema in parte riprende la struttura del procedimento d’urgenza ex art. 700 cpc, dove eventuali testimoni assumeranno la veste di semplici informatori. Il giudice provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda. Il comma 3 dell’art. 17 prevede che tale efficacia esecutiva del provvedimento di cui al comma 2 non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato ai sensi del successivo articolo 18. Tale disposizione privilegia incomprensibilmente le risultanze del procedimento sommario rispetto allo sviluppo del procedimento di merito (fase di opposizione di cui all’art. 17), durante il quale potrebbero emergere elementi importanti ai fini della sospensione dell’ordinanza.

OPPOSIZIONE – PROCEDIMENTO DI MERITO

L’art. 18 comma 1 DDL stabilisce che contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto di cui all’articolo 17, comma 2, può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’articolo 414 del codice di procedura civile, da depositare innanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui all’articolo 16, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti. Il giudice fissa con decreto l’udienza di discussione non oltre i successivi sessanta giorni, assegnando all’opposto termine per costituirsi fino a dieci giorni prima dell’udienza.

La fase di merito, successiva al procedimento sommario ha carattere facoltativo e viene proposta nelle forme ordinarie previste dall’art. 414 cpc entro il termine di decadenza di 30 giorni:

1) dalla notifica del provvedimento opposto (quindi dalla notifica effettuata dalla parte vittoriosa nel procedimento sommario);
2) o dalla comunicazione (al termine di 30 giorni) se anteriore.

Nella ipotesi sub 2) si rileva la stranezza della scelta legislativa, che pare poco chiara per i seguenti motivi: a) chi è il soggetto che deve effettuare la comunicazione (forse la cancelleria) ? b) quali forme deve avere la comunicazione (tramite ufficiali giudiziari, fax, posta elettronica)? Sembrerebbe, poi, che il procedimento di merito possa avere un ambito più ampio di quanto deciso nell’ordinanza definitiva del procedimento sommario. Infatti, il comma 1 dell’art. 18 DDL, su riportato, prevede che “non possano essere proposte domande diverse da quelle di cui all’articolo 16 salvo …..”, non limitando i confini della controversia a quanto già contenuto nell’ordinanza citata. In buona sostanza, il procedimento di merito non si configurerebbe come fase di impugnazione, ma come fase di ritrattazione della materia anche con nuovi argomenti e nuove allegazioni.

I commi 2 (notifica a controparte ricorso e pedissequo decreto), 3 (costituzione dell’opposto), 4-5 (chiamata in causa), 6 (domanda riconvenzionale) non presentano particolari novità rispetto alla procedura ordinaria di cui agli artt. 414 e ss. cpc.

Il comma 7 regolamenta l’attività istruttoria: assumono rilievo, rispetto alla procedura sommaria, le allegazioni delle parti laddove ammissibili e rilevanti. Viene introdotta la possibilità di concedere un termine di 10 giorni prima dell’udienza di discussione per il deposito di note difensive.

La sentenza, che decide il giudizio, è immediatamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Lascia perplessi la scelta legislativa di non prevedere un tentativo di conciliazione in ambito giudiziale.

RECLAMO E RICORSO PER CASSAZIONE

L’art. 19 prevede il reclamo alla Corte d’Appello entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza o dalla notificazione della sentenza stessa se anteriore. Restano i dubbi sopra espressi in relazione all’opposizione ad ordinanza.

Il comma 4 prevede che in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’articolo 327 del codice di procedura civile. Si evince che il reclamo è ontologicamente una impugnazione.

La Corte d'appello fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni e si applicano i termini previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 18. Al riguardo, è da ritenersi che il legislatore abbia inteso la norma nel senso che l’udienza debba essere svolta entro i successivi 60 giorni; in caso contrario verrebbe meno il carattere di celerità della procedura.

Diversamente da quanto previsto nel procedimento di cui all’art. 18 , alla prima udienza, la Corte può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata se ricorrono gravi motivi. La norma è corretta, ma richiederebbe che una tale possibilità venisse concessa anche al giudice del procedimento di opposizione ad ordinanza.

La Corte d’Appello definisce il giudizio con sentenza, che deve essere depositata entro 10 giorni dall’udienza di discussione. Avverso la suddetta sentenza è ammesso ricorso per Cassazione entro il termine a pena di decadenza di 60 giorni decorrenti: a) dalla comunicazione della sentenza; b) dalla notificazione della sentenza medesima se anteriore. Il legislatore introduce, quindi, il nuovo istituto di una notificazione atipica (a cura della cancelleria?) a decorrere dalla quale decorrono termini decadenziali.

Nota (*) : paragrafi riprodotti sulla base dei contenuti della circolare della Fondazione Studi n. 8 del 2012.
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