Il progresso, l’evoluzione e la tecnologia ci hanno aiutato a diffondere il sapere, a rendere libere le conoscenze, gli scambi culturali e ad esser sempre e costantemente interconnessi con il mondo. Poco importa se il nostro interlocutore si trovi all’ombra dei moai dell’Isola di Pasqua, in un igloo al Polo Nord oppure dentro un grattacielo di Chicago. Quel che, invece, spesso non sappiamo è che difficilmente saremo interconnessi con i nostri discendenti.
Già, perché in un mondo dove si pensa che tutto è per sempre - grazie alla possibilità di lasciare tracce ritenute indelebili, caricando foto su social network come Facebook, esternando le proprie opinioni sui blog, acquistano e-book o canzoni su i-tunes, oppure caricando un video su di una piattaforma come Youtube - non ci si accorge della caducità di tutto ciò.
In passato era tutto più analogico: I ricordi, di famiglia erano le foto stampate su carta, i vinili musicali gracchianti ed i grammofoni, gli ingialliti libri cartacei, i giochi di legno o di plastica.
Adesso nella società digitale le foto sono condivise sui social network e fruibili per tutti, la musica ed i film sono scaricati dagli store, i libri sostituiti dagli e-book e dai Kindle, i giochi sono delle app, i dati sono conservati negli archivi digitali dei cloud (Google drive, Evernote, Dropbox, Flicker).
Allora cosa cambia? Tutto.
Infatti in passato i ricordi, le biblioteche cartacee, i manoscritti, le poesie, le foto erano beni che rientravano nella successione ereditaria. Erano ossia, e tutt’ora sono, un patrimonio che può essere tramandato di generazione in generazione.
Oggi invece gran parte dei beni che fanno parte dell’eredità digitale, a differenza di quel che si crede e che spesso viene propinato con la scritta a caratteri cubitali “contratto di vendita”, altro non sono che dati assoggettati ad una mera licenza d’uso.
Pertanto non ne siamo proprietari ma semplicemente possessori attraverso un diritto personale di noleggio a tempo indeterminato e non trasferibile. Il quale ci permette di fruire del servizio ed, al massimo, di fare una copia di back-up, che comunque non può passare in eredità. Quindi, in definitiva, non c'è la garanzia che i beni digitali del de cuius arrivino a quelli che sono i legittimi titolari dell'eredità.
La portata del problema può essere facilmente compresa se si mostra qualche dato divulgato da Florian Deusch sulla rivista giuridica tedesca ZEV, Zeitschrift für Erbrecht und Vermögensnachfolge (vol.1, 2014), che stima che ogni minuto muoiono 3 utenti di Facebook e, pertanto, definisce come “zombie digitali” il 5% degli account che sono presenti sul noto social network.
Il primo scoglio riguarda l’identificazione della effettiva morte, come accade nel caso dei social network. Infatti, generalmente, dopo un periodo di protratta inattività continuativa del profilo di un utente, il soggetto è ritenuto “virtualmente morto”. Il tutto a prescindere che la persona sia effettivamente viva oppure morta.
Ciò comporta che la persona può vedersi privato di tutti i suoi beni digitali con la cancellazione dell’account. Laddove l’utente fosse veramente venuto meno e gli eredi non avessero accesso ai profili del de cuius (per esempio non possedendo le credenziali d’accesso) potrebbero non aver modo di recuperar alcunché. Stessa cosa è valevole per le caselle e-mail.
Ancor più complessa la situazione per quanto riguarda gli acquisti fatti sugli store e gli spazi di archiviazione nonché i blog (privi di dominio personale registrato). In questo caso, come accennato in precedenza, non c’è una vera e propria proprietà ma un semplice contratto di licenza d’uso. Fra l’altro, generalmente non trasferibile.
Eppure, a ben vedere, le foto e le pubblicazioni con manifestazione di elementi artistici e creativi, effettuate sia sui blog che sui social network, dovrebbe rientrare nel concetto di proprietà intellettuale, così come definito dagli artt. 1 e 2 della L. 633/41 c.d. Legge sul diritto d’autore (l.d.a.).
Pertanto, almeno in linea di principio, sarebbero suscettibile di tutela giuridica.
Esistono, tuttavia, altre questioni giuridiche di rilievo, come l’applicazione dell’art. 597 secondo comma c.p. che riguardo al reato di diffamazione prevede che “Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria di un defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti “; l’art. 93 della l.d.a. che consente al coniuge ed ai figli del defunto la possibilità di pubblicare la corrispondenza, quindi in via interpretativa anche l’accesso alle e-mail; ed ancora l’art. primo comma della L. 30/2005 c.d. Codice della proprietà industriale che stabilisce che “I ritratti di persone non possono essere registrati come marchi senza il consenso delle medesime e, dopo la loro morte, senza il consenso del coniuge e dei figli; in loro mancanza o dopo la loro morte, dei genitori e degli altri ascendenti […]”.
A livello internazionale si possono ricordare vari casi, ad esempio la vicenda legata a Bruce Willis per i file musicali scaricati su i-tunes (caso finito sui giornali ma mai nei tribunali); il caso sollevato dagli eredi del soldato morto in Iraq nel 2004 Ellsworth contro Yhaoo! per l’accesso alle e-mail del familiare scomparso; od ancora la causa fatta dai genitori Benjamin Stassen contro Facebook per accedere al profilo del figlio suicida onde indagare sui motivi del suo gesto. In quest’ultima circostanza il tribunale del Wisconsin acconsentì alle richieste dei genitori stabilendo che “Gli Eredi hanno diritto ad ogni tipo di bene, possedimento o dischi, compreso il contenuto degli account di Facebook”.
In senso opposto la decisione della Corte della California, che nel caso The Estate of Sahar Daftary contro Facebook aveva negato alla famiglia di accedere al profilo della propria figlia che era deceduta cadendo dal balcone dell’appartamento del proprio ragazzo.
A questo punto è bene domandarsi se esistano soluzioni e laddove vi fossero, quali potrebbero essere. Il realtà non c’è una soluzione univoca per recuperare tutti i dati ma molteplici sistemi differenziati a seconda della specifica problematica.
In ogni modo, per quanto riguarda gli acquisti sui vari store e gli e-book formato kindle non si individuano soluzioni certe, soprattutto alla luce dei problemi di competenza e giurisdizione che tendono ad indentificare la competenza nel luogo di ubicazione del server. In questi casi le uniche possibilità sembrano un intervento della giurisprudenza di merito oppure la stipulazione di una convenzione internazionale.
In altri casi le soluzioni sono più a portata di mano. E’ il caso del death manger di Facebook, Twitter o Google presente fra le condizioni del servizio offerto. Questo strumento consente all’utente di decidere le sorti dei propri dati per quando sarà venuto meno, ammettendo la possibilità di cancellare tutto (preimpostata) oppure indicare fino a 10 contatti di parenti/amici a cui lasciare le credenziali d’accesso.
Nel caso di Facebook è anche possibile trasformare il profilo in “commemorativo”.
Tuttavia non esiste una vera e propria uniformità ma soluzioni variegate a seconda del gestore del servizio. Taluni richiedono l’esibizione del certificato di morte prima di consegnare dati e credenziali di accesso ai soggetti indicati dal de cuius, altri attivano in automatico le disposizioni del death manager con la semplice inattività continuativa dell’account. Altri ancora, come Yhaoo!, non consentono il trasferimento delle credenziali ma solamente l’invio di un CD con copia dei dati.
In definitiva, in assenza di disposizioni dell’internauta, il rischio è che tutti quei volumi, quei diari, quei pensieri, quel sapere, quelle conoscenze, quelle storie di vita che da millenni vengono tramandate da padre in figlio non potranno più arricchire le generazioni future. Davanti a questa disarmante realtà appare doveroso citare una frase di uno fra i più famosi film di fantascienza, Blade Runner “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”. (PELUSO)
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