“Exit tax” poco europea

Pubblicato il 02 aprile 2009 La Commissione per l’esame della Compatibilità Comunitaria di leggi e prassi fiscali italiane dell’Associazione italiana dei dottori commercialisti ha presentato una nuova denuncia a Bruxelles riguardo alla disposizione recata dall’articolo 166 del Tuir. Questa norma disciplina il trasferimento all’estero della residenza fiscale di soggetti che esercitano in Italia imprese commerciali, stabilendo che le plusvalenze latenti sui beni che non sono confluiti in una stabile organizzazione in Italia devono essere immediatamente tassate nel nostro Paese. Analogamente, sono assoggettati a imposizione e pagamento dell’imposta sul reddito anche i fondi in sospensione d’imposta, iscritti nell’ultimo bilancio o rendiconto prima del trasferimento della residenza, e i plusvalori “latenti” di quei beni che, pur confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato italiano, successivamente siano trasferiti all’estero per necessità organizzativa dell’impresa o della società che ha spostato la propria residenza in altro Stato Ce. Per gli specialisti Adc, la disposizione in questione costituisce una evidente restrizione alla libertà di stabilimento, che rappresenta una delle libertà fondamentali sancite dal Trattato Ce, all’articolo 43. Nella denuncia si legge che la cosiddetta “exit tax” italiana costituisce una misura eccessiva rispetto allo scopo di contrastare “pratiche intese a null’altro che eludere l’imposta normalmente dovuta sul reddito d’impresa”, aumentando così l’efficacia dei controlli fiscali dato che colpisce indiscriminatamente tutti i contribuenti che vogliono lasciare l’Italia per andarsi ad insediare in un altro Stato comunitario per opportunità imprenditoriali. Secondo l’Associazione, è evidente che tassare ciò che non è stato ancora “realizzato” rappresenta una misura che inibisce significativamente la decisione di qualsiasi imprenditore individuale o società a trasferirsi in una altro Stato, incidendo direttamente sulla sfera dei loro interessi economici e patrimoniali. Dunque, ciò che fa discutere non è il diritto al trasferimento in sé, ma le condizioni e il prezzo (in questo caso sproporzionato) da pagare per esercitare questa libertà. L’auspicio dell’Associazione è che la Commissione europea intraprenda presto un’azione di controllo nei confronti dello Stato italiano, al fine di superare sollecitamente il segnalato conflitto normativo.
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