Il “fair value” alla prova dei calcoli

Pubblicato il 10 aprile 2006

Il documento contenente il principio contabile Oic 3, diramato dall’Organismo italiano di contabilità, illustra le nuove disposizioni e fornisce le indicazioni operative alle imprese che stanno preparando il bilancio per l’esercizio chiuso al 31 dicembre del 2005 e che devono, per la prima volta, determinare il valore di mercato (c.d. fair value) degli strumenti finanziari da includere nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione. Secondo tali istruzioni, risultano obbligate tutte le imprese con eccezione delle banche, delle assicurazioni e di quelle imprese che in base al Dlgs 38/05 devono o scelgono di applicare gli Ias. L’informativa sugli strumenti finanziari è richiesta a partire dal 1° gennaio 2005, secondo quanto stabilito dagli articoli 2427-bis e 2428, comma 2, n.6-bis del Codice civile, introdotti dal decreto legislativo 394/2003. Prima dell’introduzione del citato articolo 2427-bis, l’utilizzo del fair value come criterio valutativo era previsto solo per le banche e gli altri istituti finanziari (art. 20 del Dl 87/92), che potevano valutare al valore di mercato i titoli e le “operazioni fuori bilancio” che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie e che sono quotati in mercati organizzati. Il valore di mercato non era previsto dal C.c. come criterio di valutazione (art. 2426) a meno che esso non fosse inferiore al costo. Con l’introduzione dell’articolo 2427-bis, invece, il fair value assume valore di criterio di valutazione per alcuni beni ai fini dell’informativa della nota integrativa, a prescindere dal fatto che lo strumento finanziario sia quotato in mercati regolamentati. Anzi il fair value è richiesto per tutti i contratti derivati, per le partecipazioni non di controllo, collegamento o controllo congiunto e per titoli e crediti classificati tra le immobilizzazioni finanziarie per i quali, nella maggior parte dei casi, non si può far riferimento alle quotazioni.

La categoria dei contratti derivati, siano essi stipulati a fini di copertura dei rischi o con finalità speculative, è quella che mostra maggiore complessità. I problemi più evidenti sono collegati al fatto che solo pochissime tipologie di contratti derivati sono quotate sui mercati regolamentati e, inoltre, escludendo i futures e alcune categorie di opzioni, i valori di mercato vanno determinati attraverso modelli valutativi. 

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