La Convenzione di moratoria (prima parte)

Pubblicato il 15 gennaio 2016

L’accordo di moratoria è una convenzione, piuttosto articolata, nella quale si mira a disciplinare sia il rapporto sostanziale fra debitore e creditori che quello fra creditori, sia la tutela processuale.

Pactum de non petendo

Uno degli elementi-cardine degli accordi di moratoria è costituito dal c.d. pactum de non petendo. Per diverso tempo, il patto è stato guardato con molto sospetto in quanto si assumeva che un accordo fra debitore e creditori non potesse mai escludere l’insolvenza e ciò per la matrice di indisponibilità dell’insolvenza e per il rilievo di interessi pubblicistici. Sennonché, poi, è stato “smarcato” e si è iniziato a predicarne la liceità, talché il patto è divenuto un elemento costitutivo- necessario dei concordati stragiudiziali. Ciò sul presupposto che la conclusione di un accordo con tutti i creditori ovvero anche con solo una parte degli stessi (ma con la previsione della liberazione di risorse per il pagamento dei creditori estranei al patto o con quella dell’assolvimento dei debiti estranei a cura dei creditori partecipanti all’intesa), rendesse inesigibili i crediti, sì da escludere lo stato d’insolvenza.

Pactum de non petendo: nelle convenzioni di moratoria sempre temporaneo

Se nella tradizione romanistica il pactum de non petendo può essere provvisorio o perpetuo, ai fini che qui interessano, nelle convenzioni di moratoria, il patto è, sempre, temporaneo. L’accordo di moratoria è, infatti, funzionale a guadagnare il tempo necessario per pervenire ad una più strutturata regolazione della crisi. La naturale provvisorietà della moratoria è, oggi, certificata, proprio dall’art. 182 septies, l.fall., che esplicitamente utilizza l’espressione “in via provvisoria”.

Dobbiamo, allora, intendere che questo accordo sia funzionale non già a trovare, in sé, la soluzione per gestire la crisi, ma a trovare il tempo per assumere quelle necessarie informazioni che poi condurranno il debitore a proporre ai creditori una compiuta regolazione del credito. L’accordo di moratoria è, dunque, un fenomeno di più ampia circonferenza rispetto al semplice pactum de non petendo, da cui ripete, solo, la vocazione processuale sul piano della provvisoria paralisi della tutela giudiziaria per coloro (e solo per coloro) che partecipano alla convenzione.

Pertanto, chiarito che l’accordo di moratoria comprende il pactum de non petendo senza in esso esaurirsi, occorre valutare quali siano le precise finalità dell’accordo e come queste vengano, poi, declinate nella singola disciplina del contratto.


Finalità dell'accordo

L’interesse del debitore è quello di evitare che vi siano aggressioni al patrimonio da parte dei creditori finanziari, quando, però, vi sia al contempo una certa tranquillità in ordine al fatto che iniziative giudiziarie non provengano da altri creditori. È chiaro, infatti, che l’accordo di moratoria ha senso là dove il debitore continui ad avere il controllo della situazione sui fornitori.

Ma, il debitore ha, soprattutto, l’interesse a poter continuare ad operare con gli istituti di credito e quindi v’è bisogno di pattuire che le linee di credito restino aperte e che non vi siano flussi di rientro “anomalo”, ma solo quelli correlati alle operazioni “autoliquidanti” o a quelle a lungo termine.

Per altro verso, l’interesse delle banche a negoziare un accordo di moratoria solo in parte coincide con l’interesse del debitore a che si stabilizzino determinati rapporti ed altri continuino regolarmente, posto che in regime di crisi ormai declamata e sotto la sorveglianza dei creditori, è improbabile che sia il debitore a compiere qualche atto (o qualche attività) distrattiva, posto che un comportamento prudente è (praticamente) imposto se poi quel debitore vuole concludere un accordo di regolazione della crisi vero e proprio (il piano attestato o l’accordo di ristrutturazione).

L’interesse maggiore è quello di regolare i rapporti fra i creditori; sono, cioè, le banche che dall’accordo di moratoria cercano di conseguire l’effetto di congelare le posizioni reciproche, in modo che nessuno, magari sfruttando delle asimmetrie informative, tenti di avvantaggiarsi rispetto agli altri creditori.

In questa cornice un poco approssimativa si è innestato l’intervento normativo del 2015.

I commi 5, 6, 7 e 8 dell’art. 182 septies l.fall. contengono una disciplina light della convenzione di moratoria (così è definita nella rubrica legis). La scelta di mantenere leggero il livello di normazione è sicuramente apprezzabile perché questi accordi vivono della loro flessibilità e tuttavia occorre, anche, interrogarsi se la disposizione nel suo complesso non contenga omissioni tali da frustrarne la pratica applicazione.

Modelli di convenzione moratoria

Si può parlare di convenzione di moratoria regolata per legge, quando vi è il coinvolgimento di banche o intermediari finanziari. 
La nozione di “intermediari finanziari” è quella che si ricava dagli artt. 106 e 107 T.U.B. e fra questi vanno incluse le società di leasing, visto anche il chiaro rinvio contenuto nel comma 7 dell’art. 182 septies l.fall.

Diversamente da quanto è previsto per gli accordi di ristrutturazione rafforzati/semplificati, non è fissata una soglia minima di indebitamento finanzia- rio. La convenzione di moratoria esiste, ai fini legali, se è stipulata fra creditori finanziari ma può riguardare anche situazioni di crisi nelle quali la maggior parte dell’indebitamento non sia finanziario. La scelta è ragionevole sia perché la convenzione ha, comunque, un’efficacia provvisoria (v., infra), sia perché come enunciato prima, è naturale che questi accordi abbiano una loro effettività se non vi sono tensioni specifiche rispetto agli altri creditori.

Dal lato soggettivo occorre, poi, precisare che l’efficacia dell’accordo secondo il modello legale impone che una delle parti sia il debitore, il che significa che un accordo “interno” fra i creditori finanziari non può produrre gli effetti di cui all’art. 182 septies l.fall.

Provvisorietà della convenzione nel modello legale

Perché la convenzione sia assunta nel modello legale, è necessario che sia diretta a regolare provvisoriamente gli effetti della crisi. Il legislatore ha utilizzato la locuzione “in via provvisoria” senza, però, specificare una misura della provvisorietà. 
Occorre chiedersi se sia una lacuna da riempire facendo, magari, ricorso a qualche altra disposizione similare, oppure se il legislatore sia stato consapevolmente generico.

La temporaneità di alcuni effetti ricollegati all’apertura di una crisi incontra una declinazione sia nell’art. 182 bis, comma 6, l.fall che nell’art. 161, comma 6, l.fall., là dove la variabile temporale oscilla fra i sessanta e i centoventi giorni.

Tuttavia appare assai opinabile che questi termini rivestano un certo qual significato a proposito della durata della convenzione di moratoria, se non forse il limite massimo dei centottanta giorni quando il tribunale concede la proroga, sempre in base all’art. 161, comma 6, l.fall. . Se il legislatore ha voluto stabilire una disciplina non invasiva di questi accordi, è di riflesso ragionevole che la provvisorietà della convenzione non abbia un riferimento temporale certo. La provvisorietà dipenderà dalla tipologia della crisi. In via del tutto orientativa si potrebbe predicare che i centottanta giorni sopra menzionati rappresentino un orizzonte temporale plausibile, ma senza la cogenza propria di una norma che fissa il termine.

Di sicuro l’espressione “in via provvisoria” andrà calibrata rispetto al prodursi di effetti irreversibili, nel senso che si deve evitare che la convenzione consenta di oltrepassare una barriera, passata la quale, non è più possibile conseguire determinati obiettivi in virtù di decadenze che possono sopraggiungere. Se è chiara la volontà del legislatore di limitare nel tempo gli effetti della convenzione, resta oscuro quanto possa durare la gestazione della convenzione. Ed è proprio questo un profilo delicato perché l’esperienza insegna che la durata della concertazione per la predisposizione dell’accordo è, il più delle volte, molto lunga. Forse, sarebbe stato opportuno stabilire che dall’apertura del “tavolo della crisi” alla chiusura dell’accordo non si può oltrepassare un determinato tempo e ciò per la semplice ragione che, nell’osservanza del codice di autodisciplina, di fatto le banche che partecipano alle trattative si vengono a trovare in una situazione di moratoria di fatto viste le regole di comportamento prescritte.

Contenuto della convenzione di moratoria

Più complesso è stabilire quale sia (o quale possa essere) il contenuto della convenzione.
 La norma utilizza il lemma “moratoria” che nel lessico corrente evoca il concetto di sospensione dell’esigibilità di una prestazione connessa ad una obbligazione; il termine era, in verità, ben conosciuto nella legislazione dell’800, ma le somiglianze sono irrilevanti.

Pertanto, la convenzione di moratoria può avere come contenuto l’impegno dei creditori finanziari a non esigere le obbligazioni scadute.
 Questo impegno può tradursi, dal punto di vista sostanziale in un riscadenziamento dei termini di adempimento - talora condito dal congelamento anche degli interessi -, e dal punto di vista processuale nella rinuncia, temporanea, ad agire per la riscossione del credito, sia con iniziative individuali, sia con iniziative collettive.

Ma le obbligazioni che vengono assunte, spesso, non attengono al rapporto debitore - creditori, ma al rapporto fra creditori. Così, si stabilisce che nessuna banca possa conquistare posizioni di vantaggio acquisendo garanzie collaterali.

Per converso, anche il debitore assume, ovviamente, una serie di impegni che in sintesi si traducono in un impegno a non modificare la propria situazione patrimoniale e finanziaria, ma anche a non intraprendere nuove iniziative sul piano industriale e dell’organizzazione societaria.

I creditori finanziari che sottoscrivono la convenzione rinunciano, dunque, ad esercitare provvisoriamente il loro diritto di credito. 
Tuttavia un semplice rinnovo dei termini di adempimento e un impegno a non agire giudizialmente per la riscossione del credito e a non precostituirsi forme di garanzia in danno degli altri creditori può essere un contenuto insufficiente per affrontare la crisi.

Orbene, mentre nel codice ABI viene preso in considerazione anche l’argomento della concessione di “nuova finanza”, nell’art. 182 septies, al comma 7, si prevede espressamente che “In nessun caso, per effetto degli accordi e convenzioni di cui ai commi precedenti, ai creditori non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Agli effetti del presente articolo non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati”.

Mentre è chiaro che gli intermediari finanziari che aderiscono alla convenzione possono stabilire l’erogazione di nuovi finanziamenti e nuovi affidamenti, per quelli non aderenti è ammessa una certa estensione degli effetti che però non può imporre la concessione di nuovo credito. È considerato tollerabile forzare il creditore non aderente a non esigere il credito per un tempo limitato, ma non è accettabile chiedergli di sostenere l’impresa con nuove risorse.

Il tema assai delicato è quello che attiene alla sorte delle cc.dd. “linee autoliquidanti”, posto che se si espande verso la banca non aderente il vincolo di non esigere il credito, ciò nondimeno se si osserva rigidamente il disposto normativo, l’effetto che si realizza è esattamente opposto a quello voluto. Se la banca non fa nulla ma si limita ad incassare le rimesse dei terzi, si rispetta la norma, ma di fatto la neutralizzazione della crisi viene superata perché la banca riduce la propria esposizione debitoria.

Ed allora, se si vuole leggere la disposizione in modo da renderla efficiente, l’espressione per cui non si può imporre “il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti”, va inteso in modo restrittivo. La banca non è obbligata a garantire al cliente di potersi approvvigionare sull’affidamento esistente ma non utilizzato, perché questo si tradurrebbe in un surrettizio nuovo impegno finanziario; tuttavia nei limiti dell’affidamento utilizzato la banca non aderente è vincolata dalla convenzione e deve consentire il normale smobilizzo e il simmetrico riutilizzo.

La stessa previsione della naturale prosecuzione del contratto di leasing senza che ciò significhi qualificare il godimento ulteriore come nuovo “credito”, induce a reputare preferibile la soluzione meno restrittiva qui proposta.

L’innesto caratterizzante di questa nuova figura negoziale “semi-tipica” è indubitabilmente rappresentato dalla previsione di una estensione di alcuni effetti del contratto a soggetti estranei alle parti contrattuali.

Un condizionamento: l’unanimità del consenso dei creditori

Sino ad ora le convenzioni di moratoria soffrivano di un inevitabile condizionamento: per essere agibili occorreva l’unanimità del consenso dei creditori, ovvero la capacità dei creditori aderenti di farsi carico delle posizioni dei creditori renitenti. La disciplina positiva attuale mira, proprio, a superare quel condizionamento. Con le garanzie sostanziali e procedimentali previste si è gettato il cuore oltre l’ostacolo; l’ostacolo era il principio cardine del diritto dei contratti, della relatività degli effetti del contratto. A norma dell’art. 1372 c.c., il contratto ha forza di legge fra le parti, mentre produce effetto verso i terzi solo nei casi previsti dalla legge, a partire dalla ben nota figura del contratto a favore di terzi.

Estensione degli effetti ad altri soggetti

Sul presupposto che la convenzione di moratoria sia un contratto meritevole di tutela dall’ordinamento (art. 1322 c.c.) e che la sua efficienza ed effettività derivi anche dalla diffusività potenziale dei suoi effetti, il sistema ha deciso che, nel rispetto di talune rilevanti condizioni, la convenzione produca i suoi effetti anche nei confronti di soggetti che non sono parti del contratto ma che sono correlate al contratto, o perché ne sono la controparte (rispetto al debitore) o perché ne sono una parte (presuntivamente) omogenea.

Si assume, in astratto, che ciò che si trasmette ai creditori non aderenti siano effetti favorevoli e che il sacrificio loro imposto - la temporanea non esigibilità del credito e la neutralizzazione dei rapporti col debitore - sia subvalente sia rispetto agli interessi della collettività coinvolta nella crisi sia rispetto agli interessi degli altri creditori omogenei. Siamo di fronte ad una deroga (che il legislatore definisce espressamente per tale) che secondo la lezione corrente, trova giustificazione soltanto quando gli effetti che si propalano sono effetti profittevoli. Se è vero che l’art. 182 septies l.fall., è norma “pari-ordinata” rispetto all’art. 1372 c.c., tuttavia va considerato che il principio espresso dall’art. 1372 c.c. esprime una chiara declinazione del principio di autonomia negoziale e se si fa un passo in avanti si coglie che questo principio rinvia a quello di autonomia privata e, dunque, ad una sua rilevanza costituzionale.

In questa cornice e nella prospettiva di accantonare il tema del rischio di illegittimità costituzionale della disposizione, a me pare che diventi importante verificare che effettivamente la convenzione di moratoria sia idonea a tutelare anche gli interessi dei non aderenti.

A prima lettura così potrebbe non sembrare visto che le condizioni di operatività dell’estensione degli effetti sono più formali che sostanziali. Ma ad una lettura più meditata, il profilo della tutela sostanziale del creditore non aderente riemerge a tutto tondo quando, di fronte ad un’opposizione del creditore, il Tribunale deve effettuare alcune valutazioni (vedi infra). È, infatti, richiamata una clausola che letta in modo asettico potrebbe apparire persino incompatibile con la convenzione di moratoria, ma che, invece, andrà considerata proprio come clausola di salvaguardia del principio della relatività degli effetti del contratto e della deroga subordinata alla estensione di effetti favorevoli.

Condizioni

La forzatura del dogma della relatività del contratto è giustificata, come accennato, a ben precise condizioni:

  1. La convenzione di moratoria deve essere stipulata da tanti intermediari finanziari che rappresentino almeno il 75% (3/4) dei crediti finanziari oggetto del processo di ristrutturazione. Poiché il comma 5 rinvia all’intero comma 2 del medesimo articolo, non si può escludere che anche la convenzione di moratoria contempli più categorie di creditori aventi, però, sempre posizioni omogenee. Le categorie possono frazionarsi secondo diverse tipologie:
    • (i) in relazione alla distinzione fra breve, medio e lungo termine;
    • (ii) in relazione alla qualità chirografaria o privilegiata del credito;
    • (iii) in relazione al fatto che si tratti di crediti diretti o di firma;
    • (iv) in relazione alle modalità tecniche, come aperture di credito, anticipazioni con linee autoliquidanti, finanziamenti, mutui ipotecari e così via. La convenzione di moratoria stipulata fra creditori finanziari e debitore, ove non sia raggiunta la soglia del settantacinque per cento, è certamente valida ed efficace fra le parti ma non è idonea a propalarsi sui terzi. Quanto alla determinazione della misura dell’indebitamento sul quale computare, poi, la percentuale, deve ritenersi che sia pari all’esposizione debitoria verso l’intero comparto dei crediti finanziari, senza distinzioni in relazione alla qualità dei crediti. Tuttavia se i crediti non sono omogenei è possibile che vengano stipulati accordi diversi e rispetto a questi occorrerà, sempre, il rispetto della soglia minima.
  2. La propalazione degli effetti è ammessa quando risulta che ai creditori non aderenti sono state fornite tutte le informazioni relative all’avvio delle trattative e quando sono stati messi nelle condizioni di parteciparvi e ciò secondo canoni di buona fede. Questo significa, in armonia con quanto previsto nel codice di autodisciplina ABI, che una volta palesata la situazione di crisi, tutte le banche debbono essere invitate a partecipare al progetto di regolazione provvisoria e a tutte debbono essere fornite informazioni sufficienti perché ciascuna sia in grado di istruire la pratica e assumere una decisione consapevole.
  3. Poiché la diffusività degli effetti del contratto trova spiegazione nella circostanza che i creditori non aderenti siano titolari di crediti aventi posizioni giuridiche omogenee (a quelle degli aderenti) e muniti di interessi economici parimenti omogenei, è necessario che questa omogeneità sia certificata da un professionista (dotato dei requisiti dell’attestatore ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d, l.fall.). Poiché la norma non vi fa specifico riferimento, occorre domandarsi se il professionista debba essere designato dal debitore oppure anche dai creditori aderenti.

La soluzione meno restrittiva pare preferibile, non già perché diversamente da altre disposizioni manca l’indicazione che la nomina deve provenire dal debitore, quanto invece per il fatto che più sono i soggetti interessati alla conclusione della convenzione e alla possibile estensione degli effetti.

Il compito del professionista designato

Il compito del professionista è unicamente quello di verificare che i crediti di coloro che aderiscono alla convenzione sono omogenei a quelli dei creditori finanziari non aderenti. Non si richiede al professionista un controllo sul raggiungimento della percentuale del settantacinque per cento e così pure non si richiede che il professionista esprima un giudizio sulla “convenienza” dell’accordo rispetto ai creditori che non hanno partecipato all’accordo. La convenzione di moratoria produce effetti fra gli stipulanti al momento della sottoscrizione con lo scambio del reciproco consenso. Viceversa, la produzione degli effetti verso i creditori finanziari non aderenti scatta nel momento in cui il documento, accompagnato dalla relazione del professionista, viene comunicato formalmente a mezzo lettera raccomandata o messaggio di posta elettronica certificata. Pertanto, la comunicazione vale:

Tuttavia v’è da chiedersi se sia sufficiente questa comunicazione, oppure se al terzo non debbano essere comunicati ulteriori documenti.
 Poiché il creditore non aderente deve essere posto in grado di verificare la sussistenza dei presupposti che rendono la convenzione opponibile nei suoi confronti, pare ad alcuni commentatori che nella convenzione (o in documenti ad essa allegati) si debba dare atto:

a) dell’elenco dei creditori finanziari (e se del caso distinti per tipo) e di coloro che aderiscono – al fine di consentire un controllo sul raggiungimento della soglia minima del settantacinque per cento;

b) della prova dell’avvio della concertazione diretta a tutti i creditori finanziari.

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