A caccia in malattia? Licenziato

Pubblicato il 30 marzo 2016

La Corte di cassazione ha confermato la legittimità di un licenziamento disciplinare comminato ad un uomo in considerazione di diversi episodi in cui il medesimo, in occasione di brevi intervalli di riposo per turnazione, si era recato all’estero, prolungando, poi, il proprio soggiorno attraverso l’invio di certificazione di malattia.

Talune di queste assenze erano da attribuire alla partecipazione del lavoratore a battute di caccia e detta circostanza smentiva, di per sé, lo stato di infermità indicato nei certificati medici nonché l’addotta impossibilità di lavorare.

Condotta unitamente considerata

Tale condotta, considerata complessivamente e unitamente all’impiego anche di giorni di congedo parentale per finalità analoghe, avevano costituito – a detta dei giudici di merito – grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro, quanto meno sotto il profilo dell’obbligo di astenersi da attività, come quella venatoria, gravemente stressanti per il fisico e in grado di impedire una pronta guarigione.

Nel testo della decisione – sentenza n. 6054 depositata il 29 marzo 2016 – la Suprema corte ha sottolineato come l’organo giudicante nel merito avesse correttamente ravvisato un’unica condotta riprovevole sotto il profilo della violazione degli articoli 1175 e 1375 del Codice civile, sia per quanto riguarda l’obbligo del lavoratore di astenersi da attività lesive dell’interesse datoriale di ricevere la prestazione lavorativa, sia per l’utilizzo di congedi parentali per finalità diverse da quelle proprie dell’istituto.

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