Animali sofferenti Custode condannato

Pubblicato il 02 marzo 2017

Ai fini dell’integrazione del reato ex art. 727 c.p. – abbandono di animali – non è necessario che l’animale riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche in meri patimenti, la cui inflizione non sia necessaria in rapporto alle esigenze di custodia dello stesso.

E’ il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, confermando la condanna di una donna ex art. 727 c.p., ritenuta responsabile di aver mantenuto, all'interno di un locale chiuso, 25 gatti selvatici ed un cavallo, in condizioni ambientali incompatibili con la natura degli stessi animali.

Invero, il locale in questione era stato trovato in pessime condizioni igieniche, con il pavimento completamente imbrattato di feci ed urine, tali da provocare esalazioni contaminanti il cibo e l’acqua somministrata agli animali. Sicché i felini presenti, in stato di cattività, risultavano aver patito rilevanti sofferenze fisico-psichiche.

Orbene, ritiene innanzitutto la Corte Suprema respingendo le censure della donna, la fattispecie contesta può essere integrata anche con una condotta colposa dell’agente, trattandosi di contravvenzione non necessariamente dolosa. Oltretutto la sentenza di condanna impugnata – prosegue – ha esplicitato in maniera puntuale le ragioni per le quali i fatti emersi all'esito dell’istruttoria, siano stati ritenuti sussumibili nella fattispecie contestata.

Animali selvatici sofferenti in cattività

Ed ancora, a nulla sono valse le deduzioni difensive della donna, secondo cui alcuni gatti rinvenuti fossero in realtà animali domestici, sicché la circostanza che fossero custoditi in ambiente chiuso, non avrebbe configurato alcuna violazione della loro natura. A smentire ciò – secondo gli ermellini - la fobia manifestata dai felini in occasione dell’accesso del personale Asl, evidentemente riconducibile ad una condizione di sofferenza degli stessi, per lo stato di cattività cui erano costretti, nonostante la loro natura selvatica.

Locali in pessime condizioni igieniche

Sostanzialmente inconferenti sul piano logico, inoltre, le allegate considerazioni difensive secondo cui l’accoglienza dei felini all'interno del locale, avrebbe rappresentato una misura dettata a salvaguardare gli stessi, dinanzi alle plurime fonti di pericolo per la loro incolumità.

Ciò che va difatti contestato ai fini del reato in questione – conclude la terza sezione con sentenza n. 10009 del primo marzo 2017 – non è tanto l’aver allestito un riparo per gli animali, quanto piuttosto l’aver predisposto un locale chiuso all'interno del quale non venivano effettuati i necessari interventi di pulizia, diretti ad impedire che la fermentazione dei materiali organici portasse affezioni o irritazioni alle vie respiratorie o alle mucose degli animali.

 

 

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