Arresti domiciliari, non serve motivare la prescrizione del braccialetto

Pubblicato il 17 febbraio 2015 Gli “arresti domiciliari con dispositivo di controllo elettronico”, non configurano un nuovo tipo di tutela rispetto agli “arresti domiciliari semplici”, ma rappresentano solo la modalità ordinaria di applicazione di tale misura cautelare.

Ne deriva che non sussiste, a carico del giudice, alcun onere di motivazione aggiuntiva, se riesce a dimostrare l'inadeguatezza della misura domiciliare a contenere le relative esigenze cautelari.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con sentenza n. 6505 depositata il 16 febbraio 2015, respingendo il ricorso di un soggetto indagato per aver commesso una serie di rapine, avverso la statuizione con cui era stata disposta la sua custodia cautelare in carcere.

Lamentava il ricorrente, fra le altre censure, come la sentenza impugnata fosse priva di motivazione in ordine alla inadeguatezza, in tal caso, della meno afflittiva cautela domiciliare, con aggiunta di braccialetto elettronico di controllo.

La Cassazione, confermando con la pronuncia in esame quanto dedotto in secondo grado, ha innanzitutto ribadito, nel caso di specie, l’esistenza delle esigenze cautelari che sottendono alla custodia in carcere, stante il pericolo di reiterazione e le “modalità professionali” con cui erano state commesse le attività delittuose.

Ha poi sostenuto come non vi fosse, a carico del giudice, alcun onere di ulteriore giustificazione per la mancata adozione dei domiciliari con braccialetto elettronico.

L’adozione di tali strumenti di controllo, infatti – a detta della Suprema Corte – non serve ad introdurre un’ulteriore misura cautelare oltre a quelle tassativamente previste per legge, ma esplica solo una modalità applicativa della custodia domiciliare “ordinaria”.

Il giudice non è pertanto tenuto a spiegare le ragioni per cui intende prescrivere tali strumenti elettronici, bensì, eventualmente, ad esporre il motivo per cui non li ritiene necessari.
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