Va escluso che il superminimo possa essere assorbito in presenza di una prassi aziendale consolidata favorevole ai lavoratori: confermato il valore vincolante dell’uso aziendale, azienda condannata al ripristino del superminimo illegittimamente assorbito.
La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 552 depositata il 7 luglio 2025, si è occupata della legittimità dell’assorbimento del superminimo individuale da parte di un datore di lavoro. Il fulcro della controversia riguardava la configurabilità di un uso aziendale che impedisse tale assorbimento.
Il caso riguardava un lavoratore al quale la società datrice di lavoro aveva assorbito il superminimo individuale in occasione di un aumento retributivo collettivo previsto dal contratto del 2017.
Il Tribunale di Milano, con sentenza favorevole al dipendente, aveva riconosciuto l’esistenza di una prassi aziendale consolidata che impediva tale assorbimento.
La società aveva impugnato la decisione, sostenendo che l’assorbimento fosse legittimo in quanto conforme al principio generale di assorbibilità del superminimo in caso di incrementi retributivi collettivi.
La datrice di lavoro aveva inoltre negato l’esistenza di un uso aziendale vincolante e affermato che l’Elemento Retributivo Separato (ERS), previsto dal rinnovo del contratto collettivo Telecomunicazioni del 23.11.2017, fosse idoneo a integrare tale assorbimento.
Cos’è il superminimo e quando è assorbibile
Il superminimo è una voce retributiva riconosciuta individualmente al lavoratore in aggiunta ai minimi tabellari previsti dal contratto collettivo. In via generale, esso è considerato assorbibile in presenza di aumenti retributivi collettivi, salvo diversa pattuizione tra le parti o disposizioni contrattuali specifiche che ne escludano l’assorbimento.
La disciplina dell’uso aziendale secondo la giurisprudenza
Secondo consolidata giurisprudenza, l’uso aziendale si configura attraverso la reiterazione costante e generalizzata di comportamenti favorevoli ai dipendenti. Tali prassi, assimilabili a fonti collettive, possono derogare alla regola generale dell’assorbimento, operando con efficacia vincolante nei singoli rapporti individuali.
La Corte d’Appello ha confermato la decisione dei giudici di primo grado, rilevando che la prassi aziendale consolidata vincolava il datore, in assenza di una formale disdetta.
Nella specie, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di un uso aziendale formatosi nel tempo, fondato sulla prassi costante della società datrice di lavoro di non procedere all’assorbimento del superminimo in occasione dei rinnovi contrattuali precedenti al 2018.
Tale comportamento, reiterato e generalizzato, aveva assunto rilevanza giuridica, costituendo una fonte collettiva assimilabile a un contratto aziendale. In virtù di questo uso, i lavoratori avevano maturato un legittimo affidamento sulla non assorbibilità del superminimo.
Uno degli elementi valutati dalla Corte di secondo grado è stata la mancata contestazione puntuale da parte della società delle allegazioni dei lavoratori in merito all’uso aziendale.
La società si era limitata a negare genericamente l’esistenza dell’uso senza produrre alcun elemento concreto o documentale in grado di smentire la costante prassi di non assorbimento. In base al principio di “vicinanza della prova” e agli obblighi processuali nel rito del lavoro (art. 416, comma 3, c.p.c.), la mancata specifica contestazione aveva determinato la presunzione di veridicità delle allegazioni dei ricorrenti.
La Corte ha inoltre ritenuto che la scelta unilaterale della società di assorbire il superminimo a partire dal 1° febbraio 2018 non integrasse una valida disdetta dell’uso aziendale.
Secondo la giurisprudenza, infatti, affinché vi sia una disdetta efficace, è necessario che essa sia espressa in forma chiara, motivata e indirizzata alla generalità dei lavoratori. Il semplice cambiamento di condotta non è sufficiente a modificare un uso aziendale consolidato, in assenza di una rottura formale e motivata del vincolo collettivo.
La condotta della società, nella specie, è stata quindi qualificata come inadempimento.
La Corte d’Appello, a seguire, ha escluso la possibilità di assorbire il superminimo tramite l’Elemento Retributivo Separato (ERS), ritenendo i due istituti giuridicamente non comparabili.
L’ERS, infatti, non incide sul TFR e include istituti retributivi diretti e indiretti, mentre il superminimo rappresenta un compenso aggiuntivo individuale. Tale differenza strutturale e funzionale impedisce di considerare l’ERS come emolumento idoneo a compensare il superminimo.
Il principio dell’assorbimento secondo la Cassazione
Secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, il superminimo individuale, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari stabilita individualmente tra datore di lavoro e lavoratore, è in linea generale assorbibile dagli aumenti retributivi collettivi, salvo diversa pattuizione o previsione contrattuale contraria.
L’onere di dimostrare l’esclusione dell’assorbimento grava sul lavoratore, a meno che non emerga una pattuizione espressa o una prassi aziendale consolidata.
La portata delle fonti sociali nella regolazione del rapporto di lavoro
La giurisprudenza di legittimità riconosce alle fonti sociali, quali l’uso aziendale, una funzione regolativa con efficacia simile a quella di un contratto collettivo.
Se il comportamento del datore di lavoro è costante, generalizzato e favorevole ai dipendenti, tale uso vincola l’azienda nei confronti della generalità dei lavoratori. L’uso aziendale, pur non essendo formalizzato, può derogare efficacemente alla disciplina contrattuale ordinaria.
Rilevanza della recente ordinanza Cass. n. 12477/2025
La Corte, sul punto, ha richiamato l’ordinanza n. 12477/2025 della Cassazione, che ha ribadito che il superminimo può perdere la sua naturale assorbibilità anche per effetto di un uso aziendale.
La disdetta dell’uso deve avvenire con modalità formali, trasparenti e motivate, rese conoscibili a tutti i lavoratori interessati. Il comportamento unilaterale dell’azienda non è sufficiente a incidere su una fonte collettiva come l’uso, che deve essere superato solo da atti collettivi o da disdette coerenti con i principi di correttezza e buona fede.
Rigetto dell’appello e conferma della sentenza di primo grado
Con la sentenza n. 552/2025, in definitiva, la Corte d’Appello ha rigettato integralmente l’appello proposto dalla società, confermando la decisione del Tribunale di Milano.
È stato accertato che il comportamento dell’azienda ha dato luogo a un uso aziendale vincolante, ostativo all’assorbimento del superminimo. La Corte ha riconosciuto che tale prassi si era consolidata nel tempo e non era mai stata formalmente revocata.
Condanna alle spese e contributo unificato
L’azienda è stata condannata a rifondere le spese processuali in favore del lavoratore, per un importo pari a € 2.000, oltre spese generali e oneri di legge, con distrazione al procuratore antistatario. Inoltre, sussistendo i presupposti previsti dall’art. 13 del DPR n. 115/2002, la società è tenuta anche al pagamento del contributo unificato aggiuntivo, quale parte soccombente.
Implicazioni per le aziende e per i lavoratori
La sentenza risulta di particolare interesse per le imprese che adottano superminimi: in presenza di prassi aziendali costanti e favorevoli, le aziende non possono modificare unilateralmente il trattamento economico senza una formale disdetta conforme ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza.
Per i lavoratori, si consolida il principio secondo cui anche le prassi non contrattualizzate possono generare diritti opponibili, rafforzando la tutela individuale nell’ambito del rapporto di lavoro.
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