ll patto di quota lite, che collega il compenso dell'avvocato al risultato pratico della lite, è vietato: vanno tutelati l'interesse del cliente e la dignità della professione forense.
E' quanto ribadito dalla Corte di cassazione, con sentenza n. 23738 del 4 settembre 2024, nel pronunciarsi su una vicenda giudiziale, in cui il compenso dell'avvocato era legato alle somme percepite dal cliente a seguito della vittoria nel giudizio, con violazione del divieto di quota lite.
Il caso riguardava una controversia relativa al pagamento di compensi professionali a un avvocato, per la difesa legale prestata in una causa di impugnazione di licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Le parti avevano stipulato un accordo nel 2015 che prevedeva, in caso di soccombenza, un compenso forfettario di 8.000 euro; in caso di vittoria, invece, il compenso sarebbe stato determinato in base a una percentuale (15%) delle somme che la cliente avrebbe ricevuto dalla controparte. Inoltre, le somme percepite per il rimborso delle spese legali sarebbero rimaste acquisite all'avvocato.
Il Tribunale, in primo grado, aveva ritenuto valido tale accordo, applicando l'art. 13 della Legge n. 247/2012, il quale consente la pattuizione di compensi proporzionati al valore della controversia, non considerandolo un vero e proprio patto di quota lite.
La cliente, tuttavia, aveva contestato la legittimità dell'accordo, sostenendo che il compenso era legato al risultato della causa e quindi configurava un patto di quota lite, vietato dalla legge.
Per questo si era rivolta alla Corte di cassazione, lamentando, tra i motivi, la violazione dell'art. 13 della Legge 247/2012, che vieta il patto di quota lite quando il compenso è correlato al risultato pratico della controversia.
La Corte di Cassazione, accogliendo il motivo di ricorso, ha riconosciuto che l'accordo tra le parti configurava un patto di quota lite vietato.
Il compenso dell'avvocato, nella specie, non era semplicemente legato al valore della controversia, ma al risultato della lite, ossia alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni arretrate.
Questo tipo di accordo, secondo la giurisprudenza consolidata, crea una commistione di interessi tra cliente e avvocato, violando il principio di distacco del legale dall'esito della lite.
Nella decisione, la Cassazione ha rammentato che il divieto del cosiddetto "patto di quota lite" tra l'avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell'esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale.
Il fine è quello di tutelare l'interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.
Ne consegue che il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell'ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi.
Tale patto si ravvisa anche qualora il compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell'attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.
La nullità del patto di quota lite - si legge ancora nella decisione - "è assoluta e colpisce qualsiasi negozio avente ad oggetto diritti affidati al patrocinio legale, anche di carattere non contenzioso, sempre che esso rappresenti il modo con cui il cliente si obbliga a retribuire il difensore, o, comunque, possa incidere sul suo trattamento economico".
Per la Corte, dunque, sebbene la legge consenta patti sui compensi in base al valore della controversia, è vietato correlare il compenso al risultato della causa.
Va evitato, ossia, che l'avvocato diventi parte degli interessi economici della controversia stessa.
Il divieto di patto di quota lite, in altri termini, è finalizzato a proteggere sia l'indipendenza professionale dell'avvocato sia gli interessi del cliente.
In conclusione, la Cassazione ha ribadito che gli accordi di compenso legati al risultato pratico della causa, anziché al valore della controversia, sono nulli e vietati.
La decisione del Tribunale, ciò posto, è stata cassata, e il caso è stato rinviato per un nuovo esame di merito.
Sintesi del caso | Controversia riguardante il pagamento del compenso di un avvocato per una causa di impugnazione di licenziamento. Le parti avevano concordato un compenso variabile. |
Questione dibattuta | Validità del patto di compenso legato al risultato pratico della causa. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte di Cassazione ha dichiarato nullo il patto convenuto tra le parti, poiché il compenso era collegato al risultato della lite e non al valore della controversia. |
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