Avvocato stabilito. Per la difesa, basta l’intesa con il legale italiano

Pubblicato il 22 dicembre 2017

Ai sensi del D.Lgs. n. 96/2001 e della Direttiva CE n. 89/95, per la rappresentanza da parte di un professionista che abbia conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense in altro Paese europeo, iscritto in Italia nell’albo speciale come “avvocato straniero stabilito”, è sufficiente un mero atto d’intesa con l’avvocato italiano, non essendo viceversa necessario che i due professionisti operino congiuntamente, firmando entrambi gli atti di causa.

Non serve la firma congiunta degli atti

L’avvocato stabilito, in altri termini, non è tenuto a firmare gli atti processuali assieme al collega italiano, nel caso in cui con esso abbia raggiunto un’intesa che presenti le seguenti caratteristiche: risulti da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito o all’autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, ovvero, al primo atto di difesa dell’assistito. Ciò che, pertanto, è sufficiente ad instaurare una legittima rappresentanza processuale, senza che si renda necessario lo svolgimento di attività processuali congiunte.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con ordinanza n. 30709 del 21 dicembre 2017, respingendo le ragioni di una struttura sanitaria, condannata a corrispondere ad un medico le differenze retributive dallo stesso maturate, durante i periodi di collaborazione in essa prestati. A nulla è valso dunque, per la struttura datrice, contestare la legittimità della difesa del dipendente, rappresentato in giudizio da un avvocato stabilito.

 

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