Bancarotta e falsa fatturazione, condanna ad amministratore di fatto

Pubblicato il 03 febbraio 2021

E’ stata confermata, dalla Corte di cassazione, la decisione di condanna per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di ricorso abusivo al credito, nonché per i reati tributari di false fatturazioni, di sottrazione o occultamento delle scritture contabili e di sottrazione fraudolenta di beni alle imposte impartita all’amministratore di fatto di una Srl fallita.

L’imputato, che formalmente risultava essere un consulente di quest’ultima società in virtù di un contratto a progetto, si era opposto alla decisione affermativa della sua penale responsabilità, lamentando l’erroneità della qualifica di amministratore di fatto.

Per contro, la Corte d’appello aveva ritenuto che tale qualifica potesse bene evincersi sulla base di plurimi indizi a suo carico, emersi dalle dichiarazioni dei coimputati e di alcuni testimoni.

Inquadramento formale superato dai fatti? Amministratore di fatto condannato

Conclusioni, queste ultime, che sono state condivise dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 3772 del 1° febbraio 2021.

Secondo la Suprema corte, i giudici territoriali avevano adeguatamente messo in evidenza che l'inquadramento formale del ricorrente nella società in esame fosse da ritenersi ampiamente superato dai fatti.

Nel dettaglio, era emerso che, negli anni antecedenti al fallimento, la società era stata coinvolta in un vasto ambito di attività illecite poste in essere col classico fine di frodare l'Erario, sul solco delle tipiche " frodi carosello”.

In detto contesto, era emerso il ruolo assunto dall’imputato, che non poteva certamente ricondursi a quello di un mero consulente in considerazione dei comportamenti concretamente assunti dal medesimo in svariate importanti occasione che avevano interessato la vita della società.

Diverse erano le circostanze ulteriori indicate dalla Corte territoriale dalle quali poteva evincersi l'assunzione, da parte del medesimo, di condotte spiegabili solo se riconducibili ad una amministrazione di fatto della società, come quelle adottate nell’ambito dell'acquisizione, con contratto di leasing, dell'immobile sede degli uffici della Srl, che era stato garantito con cambiali emesse da altra Srl di cui era amministratore sempre il ricorrente.

Senza contare l’entità del compenso che la società aveva stabilito in favore dell’imputato, nettamente superiore a quello dell'amministratore di diritto.

Sono state respinte, in definitiva, le censure con cui il ricorrente aveva lamentato la mancanza di prova diretta circa il compimento, da parte sua, di atti di gestione ufficiali e formali: gli indizi raccolti non potevano infatti considerarsi confutati dalle contrarie deduzioni difensive.

Con motivazione adeguata e logica, i comportamenti assunti dall’imputato erano stati ritenuti indicativi di un suo interesse personale nella gestione della società, andando ben al di là del rapporto di consulenza che gli si imputava dal punto di vista formale, ed essendo piuttosto sintomatici di un esercizio di poteri tipici inerenti alla qualifica di amministratore di fatto.

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