Bancarotta non depenalizzata

Pubblicato il 16 maggio 2008 Le sezioni unite della Cassazione (sent. n. 19601/2008) hanno posto fine al contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine alla eventuale esclusione del reato di bancarotta fraudolenta commessa dal soggetto che, in base alla novellata disciplina fallimentare, non sarebbe assoggettabile al fallimento. Due gli orientamenti formatesi in materia: l’uno volto a ritenere irrilevante la modifica dell’art. 1 L.fall., attraverso il richiamo alla disciplina transitoria; l’altro secondo cui la novella introdotta, riducendo l’area di fallibilità del piccolo imprenditore, incide su un elemento costitutivo (dichiarazione di fallimento) del reato de quo, dando quindi luogo ad un fenomeno di successione mediata di norme penali.

La suprema Corte, con la sentenza depositata ieri, ha stabilito che il piccolo imprenditore, oggi non più fallibile in base alla nuova disciplina, risponde del reato di bancarotta fraudolenta se ha contribuito al dissesto societario prima dell’entrata in vigore delle nuove norme. I giudici di legittimità hanno infatti affermato che “il giudice investito del giudizio del reato di bancarotta ex articolo 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti le condizioni previste dall’art. 1 della legge fallimentare per la fallibilità dell’imprenditore sicché le modifiche operate dal d.lgs. 5 del 2006 non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 del codice penale”.
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