In seguito all'accertamento di una violazione dell'articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo (par. 139), è essenziale che l’Italia introduca misure generali adeguate per conformare la sua normativa e prassi alle determinazioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), in materia di accessi presso i locali adibiti all'attività d'impresa o professionale.
In questo ambito, la Corte sottolinea che determinate questioni devono essere regolate in modo esplicito all'interno del quadro legislativo nazionale per:
In secondo luogo, il quadro normativo deve garantire che ci sia un controllo giurisdizionale efficace di qualsiasi provvedimento contestato, verificando in particolare che le autorità rispettino i criteri e le limitazioni imposte sulle condizioni che legittimano tali azioni e sulla loro estensione.
E’ la sintesi di quanto indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza emessa il 6 febbraio 2025 nell’ambito del ricorso 36617/18 e altri.
Un numero rilevante di ricorrenti si sono lamentati, citando l'articolo 8 della Convenzione (riguardante il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza), di un accesso non autorizzato ai loro spazi commerciali e professionali, nonché della revisione, duplicazione o confisca dei loro registri contabili, libri societari e altri documenti fiscali, ritenendo tali azioni illegittime e non proporzionate secondo tale normativa.
Hanno inoltre argomentato che il quadro legale nazionale non definiva adeguatamente i limiti del potere discrezionale assegnato alle autorità nazionali, che le azioni contestate non erano state sottoposte a un controllo giudiziario o indipendente preventivo e che non vi era stato alcun successivo controllo giurisdizionale o indipendente.
Riguardo al ricorso ex ante, i ricorrenti hanno affermato che l'approvazione per l'attuazione delle misure non era stata esaminata preventivamente da un'autorità giudiziaria o, in alternativa, da un ente indipendente.
Per quanto concerne il ricorso ex post, i ricorrenti hanno innanzitutto notato che la possibilità di contestare le autorizzazioni o di richiedere ai giudici civili l'adozione di provvedimenti cautelari era risultata solo teorica, poiché non vi erano precedenti giurisprudenziali che dimostrassero l'effettivo successo di tali ricorsi. Inoltre, hanno argomentato che presentare un ricorso ai giudici tributari non avrebbe sortito effetti pratici, dato che sarebbe potuto essere introdotto solo a seguito della ricezione dell'avviso di accertamento fiscale, quindi molto tempo dopo le presunte violazioni.
Va detto che, in conformità agli articoli 33 del DPR 600/73 e 52 del DPR 633/72, l'Amministrazione finanziaria, una volta ottenute le necessarie autorizzazioni, è abilitata a condurre accessi e ispezioni in ogni tipo di locale. L'ispezione dei documenti include l'esame di tutti i libri, registri, documenti e scritture, inclusi quelli la cui custodia o conservazione non è obbligatoria, che si trovano nei locali oggetto di accesso o che sono accessibili tramite dispositivi informatici presenti in tali locali.
In aggiunta, gli uffici hanno il potere di ordinare l'accesso a locali commerciali, agricoli, artistici o professionali, sia per condurre ispezioni documentali sia per effettuare verifiche, indagini e altre rilevazioni considerate necessarie per l'accertamento fiscale.
È necessaria un'autorizzazione che specifichi il motivo dell'accesso, la quale deve essere fornita dal capo dell'ufficio. Questa autorizzazione deve essere preventiva e deve essere emessa una sola volta per lo stesso controllo, indipendentemente dal numero degli accessi, come precisato dalla Cassazione il 16 luglio 2013 con sentenza n. 17357.
Tale autorizzazione può essere impugnata solo nel ricorso contro l'accertamento davanti al giudice tributario, e non prima di tale procedura né davanti a un altro giudice per valutare preventivamente la sua legittimità.
Nelle questioni relative ai diritti fondamentali, sarebbe incompatibile con lo Stato di diritto, un principio essenziale delle società democratiche sancito dalla Convenzione, consentire all’esecutivo una discrezionalità che si traduca in un’autorità senza limiti. Pertanto, è necessario che le leggi delineino chiaramente l’ambito e le modalità di esercizio di tale potere discrezionale attribuito alle autorità competenti.
La Corte ha frequentemente affermato che, anche se gli Stati possono considerare opportuno adottare misure più incidenti per acquisire prove rilevanti, i poteri piuttosto estesi concessi nelle fasi iniziali dei procedimenti fiscali non devono essere interpretati come un conferimento di un potere discrezionale senza restrizioni all’amministrazione finanziaria.
La CEDU non ritiene che il quadro legislativo nazionale abbia offerto garanzie sufficientemente forti ed efficaci per prevenire l'esercizio di un potere discrezionale eccessivo da parte dell'Autorità fiscale e della Guardia di Finanza.
Per quanto riguarda l'accesso e le ispezioni, non esistono norme che regolano adeguatamente come queste autorità dovessero valutare la necessità, il numero, la durata e l'estensione di tali operazioni, nonché la raccolta e la confisca delle informazioni richieste ai contribuenti. In questo contesto, la Corte rileva che le disposizioni legislative in vigore risultano eccessivamente permissive e non circoscrivono in maniera adeguata tale potere discrezionale.
Per quanto riguarda un reclamo dinanzi ai giudici tributari, la Corte osserva che le autorizzazioni di accesso e di consultazione non possono essere impugnate dinanzi al giudice tributario. Solo quando le misure di cui trattasi nel caso di specie sfociano in un avviso di accertamento, il contribuente in questione è autorizzato a contestare la relativa autorizzazione che consente un accertamento dinanzi ai giudici tributari.
Alla luce di quanto osservato, la Corte ha stabilito che il quadro legale nazionale ha dato alle autorità un'eccessiva libertà di azione sia nelle modalità di attuazione che nell'ambito di applicazione delle misure contestate. Inoltre, il sistema giuridico interno non offre adeguate garanzie procedurali, dato che le misure oggetto di contestazione, nonostante fossero passibili di ricorsi giurisdizionali, non sono adeguatamente controllate.
Di conseguenza, il quadro normativo nazionale non garantisce ai ricorrenti il livello di protezione minimo richiesto dalla Convenzione.
La Corte enfatizza l'importanza che lo Stato convenuto implementi misure generali adeguate per conformarsi alle determinazioni della Corte riguardo alla sua legislazione e prassi.
In questo quadro, si sottolinea la necessità di regolamentare chiaramente alcune questioni all'interno del quadro legislativo nazionale.
Specificamente, la Corte nota che gran parte delle misure richieste sono già contemplate nella normativa nazionale, in particolare negli articoli 12 e 13 della legge n. 212/2000. Tuttavia, i principi generali espressi in questa legislazione devono essere eseguiti attraverso disposizioni specifiche nel diritto interno.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".