L'obbligazione a carico della società cedente dopo la declaratoria di illegittimità della cessione d'azienda e l'omesso ripristino del rapporto lavorativo va qualificata in termini retributivi e non risarcitori: no alla detraibilità dell’aliunde perceptum.
Lo ha puntualizzato la Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 25853 del 1 settembre 2022, con cui ha accolto il ricorso promosso da una lavoratrice contro una decisione di secondo grado.
La Corte d'Appello, in particolare, aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dalla dipendente e respinto la domanda avanzata dalla stessa alla Spa datrice di lavoro, per ottenere il pagamento delle somme maturate successivamente alla sentenza con cui era stata dichiarata inefficace la cessione del suo contratto di lavoro in relazione al trasferimento di ramo d'azienda avvenuta in favore di altra società.
Secondo il giudice di gravame, anche nell'ipotesi di dichiarata nullità o illegittimità della cessione di ramo d'azienda, l'omesso ripristino della funzionalità del rapporto da parte del cedente, a fronte di una tempestiva messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore, rilevava sul piano risarcitorio, con conseguente eccepibilità dell'aliunde perceptum che, nella specie, in ragione della circostanza che la istante aveva percepito le retribuzioni erogate dalla società cessionaria presso cui aveva continuato a prestare attività, era di entità tale da elidere il danno subito.
La ricorrente aveva per contro denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 2126 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.: era errato, secondo la sua difesa, qualificare in termini risarcitori e non retributivi l'obbligazione gravante sulla società cedente successivamente alla sentenza con cui era stata dichiarata illegittima la cessione d'azienda.
Doglianza giudicata fondata dalla Suprema corte, la quale ha ricordato che la questione della natura dei crediti vantati dal lavoratore per effetto del mancato ripristino del rapporto di lavoro trova soluzione nel senso della natura retributiva e non più risarcitoria dell'obbligazione.
Superando un precedente diverso indirizzo, infatti, le Sezioni Unite hanno di recente sancito il seguente principio di diritto: "in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l'illegittimità e dichiarata l'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l'omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere le retribuzioni […] a decorrere dalla messa in mora" (sentenza n. 2990/2018).
Un indirizzo, questo, a cui la Corte costituzionale ha riconosciuto, con la sentenza n. 29/2019, valore di diritto vivente sopravvenuto, anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione del ramo d'azienda.
Ciò posto - ha concluso la Corte - sancita la natura retributiva delle somme da erogarsi dal cedente inadempiente ed escluso che la richiesta di pagamento dei lavoratori abbia titolo risarcitorio, non trova applicazione il principio della "compensatio lucri cum damno" su cui si fonda "la detraibilità dell'aliunde perceptum dal risarcimento".
Dato che, nella specie, la Corte d'appello non si era attenuta ai richiamati principi di diritto, la sentenza impugnata doveva essere cassata.
Il Collegio di legittimità, inoltre, ritenendo che non fossero necessari ulteriori accertamenti di fatto e che la causa potesse essere decisa nel merito, ha direttamente disposto il rigetto dell’opposizione della società avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla lavoratrice.
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