Collaboratori e coadiuvanti familiari: sì alla maxisanzione prima del Collegato Lavoro

Pubblicato il 09 dicembre 2011

Tizio collabora per tre giorni alla settimana nell'impresa di famiglia esercente attività di commercio di ferramenta e utensileria: prende contatti con i fornitori, sistema il magazzino, si relaziona con la clientela. Gli ispettori in data 31/01/2011 accertano che tale attività, svolta in via continuativa e prevalente nel periodo intercorrente tra il 01/01/2010 e il 31/01/2011, è stata effettuata in assenza di preventiva comunicazione all'INAIL. Per tale motivo i funzionari ispettivi applicano nei confronti del titolare dell’impresa familiare maxisanzione per lavoro sommerso per il periodo compreso tra il 01/01/2010 e il 23/11/2010, mentre per il lasso di tempo successivo (dal 24/11/2010 al 31/01/2011) evidenziano all'INPS il mancato versamento degli oneri contributivi relativi alla posizione di Tizio, senza adottare la maxisanzione. È corretto l'operato degli ispettori?




L'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro: caratteristiche generali

Il T.U. n. 1124/65 stabilisce l'obbligatorietà dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro al ricorrere di un duplice requisito, l’uno oggettivo e l’altro soggettivo.

Sotto il profilo oggettivo occorre che vengano svolte le attività di cui all’art. 1 del T.U. n. 1124 cit.. Tali attività devono essere esercitate in ambienti organizzati per lavori, opere e servizi e in cui siano presenti le attrezzature menzionate nello stesso articolo. Questa tutela, peraltro, non risulta condizionata all'uso diretto e specifico di tali attrezzature da parte delle persone occupate, poiché l’esposizione al rischio (generico di ambiente) da parte di costoro è oggetto di presunzione iuris et de iure, che non ammette cioè prova contraria, in correlazione con l'analoga presunzione assoluta di pericolosità delle attrezzature indicate.

Sotto l’aspetto soggettivo viene, invece, in rilievo l’art. 4 punto n. 6 del T.U. n. 1124/1965, che sottopone a tutela assicurativa “il coniuge, i figli, anche naturali o adottivi, gli altri parenti, gli affini, gli affiliati e gli affidati del datore di lavoro che prestino con o senza retribuzione alle di lui dipendenze opera manuale, ed anche non manuale […]” al ricorrere delle condizioni stabilite dal medesimo articolo 4 cit. punto 2.

Tutela assicurativa per collaboratori e coadiuvanti familiari

Originariamente, per effetto di tale previsione, la tutela assicurativa comprendeva i soggetti di cui sopra che svolgevano attività manuale, anche di sovraintendenza, resa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, anche in assenza di retribuzione. Alcuna copertura assicurativa era invece prevista in favore di coloro che prestavano la propria attività in ambito familiare, in modo abituale ai sensi dell'art. 230 bis c.c., ergo al di fuori degli schemi della subordinazione, anche funzionale, o di un rapporto di natura societaria.

Sicché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 476 del 10 dicembre 1987, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, n. 6, del T.U. n. 1124 cit., nella parte in cui non ricomprendeva tra le persone assicurate i familiari partecipanti all’impresa familiare, indicati nell’art. 230 bis c.c. che prestano opera manuale od opera a questa assimilata.

L’INAIL si è adeguata a tale pronuncia e ha emanato la circolare n. 67 del 1/12/1988 con la quale ha stabilito che i collaboratori di cui all’art. 230 bis, che prestino in via non occasionale (quindi in maniera continuativa) e cioè con costanza e regolarità, la loro attività lavorativa manuale o di sovraintendenza ad opera manuale altrui nell’ambito dell’impresa familiare, devono essere assicurati anche in assenza del requisito della subordinazione o di un vincolo societario tra essi e il datore di lavoro. In proposito giova precisare che all’epoca pare che non esistessero preventivi obblighi di comunicazione, poiché l'art. 23 del T.U. n. 1124 cit., nella sua originaria versione, prescriveva una comunicazione all’INAIL del collaboratore familiare senza indicare entro quale termine. Sul piano operativo si era così consolidata l’opinione che la predetta comunicazione andasse effettuata entro 30 giorni dall’inizio della collaborazione.

L'obbligo di denuncia anticipata all'INAIL

Ebbene, senza ripercorrere le istruzioni operative diramate nel corso degli anni per la risoluzione di aspetti interpretativi suscitati dalla disciplina de qua, può pragmaticamente rilevarsi che l’assetto normativo è stato cristallizzato in modo definitivo con il D.L. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, nella Legge n. 133 del 6 agosto 2008, che ha sostituito il primo periodo dell'articolo 23 del T.U. n. 1124 cit.. Tale previsione attualmente recita che “se ai lavori sono addette le persone indicate dall'articolo 4, primo comma, numeri 6 e 7, il datore di lavoro, anche artigiano, qualora non siano oggetto di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, deve denunciarle, in via telematica o a mezzo fax, all'Istituto assicuratore nominativamente, prima dell'inizio dell'attività lavorativa, indicando altresì il trattamento retributivo ove previsto”.

La denuncia dei lavoratori per i quali non si procede mediante comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro è chiaramente riferita anche a collaboratori e coadiuvanti delle imprese familiari, in relazione ai quali, in adesione al sistema generale di comunicazione, è stato sancito l’obbligo di denuncia nominativa anticipata rispetto all’instaurazione del rapporto di lavoro.

L'assetto normativo sopra esposto si pone sostanzialmente in armonia con i principi precedentemente espressi dal Giudice delle Leggi secondo cui tale “sistema che - comprendendo tra i beneficiari dell'obbligo assicurativo di cui all'art. 4 non solo i lavoratori operanti in regime di subordinazione, ma anche [...] i collaboratori di imprese familiari e gli associati in partecipazione - soddisfa l'esigenza di massima estensione della tutela contro gli infortuni e le malattie occasionati da attività di lavoro”.

Sotto il profilo previdenziale si rileva che l’art. 2, L. n. 463/1959 e l’art. 1, L. n. 613/1966 prevedono l’obbligo d’iscrizione all’assicurazione I.V.S. dei collaboratori e coadiuvanti familiari delle imprese artigiane e commerciali. Al riguardo è sufficiente rilevare che al carattere continuativo della prestazione viene altresì richiesto, ai fini dell’iscrizione nella Gestione speciale, l’ulteriore requisito della prevalenza, parametrato sia in relazione al tempo di lavoro impiegato nell’impresa, sia alla qualità dell’apporto stesso.

Mancata denuncia e maxisanzione

La generale disamina della disciplina sopra esposta consente di analizzare le conseguenze connesse al mancato adempimento dell'obbligo di denuncia del collaboratore familiare in ordine alla disciplina intertemporale applicabile a seguito delle modifiche apportate dall’art. 4 della L. n. 183/10 (Collegato lavoro), che ha assoggettato alla maxisanzione esclusivamente i lavoratori subordinati.

E invero la pregressa disciplina faceva riferimento “all’impiego dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria”. Tale dizione determinava l’applicazione della maxisanzione a fronte di irregolare occupazione del lavoratore, senza distinzione tra subordinato o autonomo, sempre che, in quest’ultimo caso, “l’ordinamento preveda precisi obblighi di formalizzazione documentale del rapporto di lavoro da parte del committente”. Al riguardo la nota ministeriale del 4 luglio 2007 chiariva apertamente che l’omessa denuncia dei collaboratori familiari fosse meritevole del trattamento sanzionatorio previsto per il lavoro nero, sempre che nell’attività espletata dai predetti collaboratori ricorressero entrambi i requisiti della continuatività e della prevalenza, poiché solo in presenza di entrambi sorgeva l’obbligo formale di registrazione dei dati del lavoratore nel libro matricola.

Sennonché tale regime normativo, come testé accennato, è stato sottoposto a profonda revisione a cominciare dal D.L. n. 35/2008, conv. in L. n. 113/2008 (Manovra d’estate), che ha abolito il libro matricola e il libro paga. Al posto di questi ultimi, l’art. 39 del citato provvedimento ha introdotto Libro Unico del Lavoro, nell’ambito del quale è stata esclusa la registrazione dei collaboratori e coadiuvanti delle imprese familiari, nonché dei coadiuvanti delle imprese commerciali. Per costoro infatti gli obblighi di formalizzazione, finalizzati al contrasto del lavoro sommerso, residuano nell’inoltro all’INAIL ai sensi del novellato art. 23 del T.U. n. 1124 cit. della denuncia nominativa del lavoratore, in assenza della quale, a detta del Ministero del Lavoro, il lavoratore medesimo deve ritenersi irregolare.

Ma la normativa era ancora in fase di ulteriore sviluppo. E infatti con la L. n. 183 cit. sono stati nuovamente rivisitati ampi settori della legislazione lavoristica, tra i quali anche il regime sanzionatorio applicabile al lavoro sommerso, la cui portata applicativa infatti è stata circoscritta al lavoro subordinato, segnando così un ritorno all’originaria disciplina contenuta nel D.L. n. 12/2002, conv. in L. n. 73/02. Ciò ha comportato pertanto l’esclusione dei collaboratori e coadiuvanti dal novero dei lavoratori oggetto di valutazione ai fini dell’applicazione della maxisanzione per lavoro nero. Sennonché tali prestatori “usciti dalla porta, sono stati fatti rientrare dalla finestra” con un’assai discutibile operazione interpretativa di matrice ministeriale che, a parere degli scriventi, facendo impropriamente uso del meccanismo presuntivo, ha ritenuto di poter affermare come accertata la subordinazione, qualora il datore di lavoro non effettui per i familiari di cui all’art. 4 comma 1 n. 6 e 7 del T.U. 1124 cit. la comunicazione di cui all’art. 23 del medesimo Testo Unico.

Disciplina intertemporale applicabile

Sebbene emerga ictu oculi la forzatura esegetica contenuta nel provvedimento ministeriale, non appare questa la sede per approfondire la criticità di un tale assunto, dovendo piuttosto verificare le modalità operative che il personale ispettivo è tenuto a seguire in ordine all’individuazione della disciplina applicabile, nell’ipotesi in cui il rapporto di collaborazione familiare non sia stato denunciato all’INAIL e sia cominciato antecedentemente alla L. n. 183 cit., per poi proseguire, senza soluzione di continuità, fino all’accesso degli ispettori, avvenuto, nel caso di specie, il 31/01/2011.

A tal fine proprio la circolare n. 38 del 2010 del Ministero del Lavoro precisa che, qualora l’illecito si sia consumato in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 183/10, l’organo di vigilanza è tenuto “[…] ad applicare all’intero periodo oggetto di accertamento la nuova disciplina, anche se la condotta sia iniziata in epoca antecedente all’introduzione della stessa in considerazione della prevalenza del momento consumativo dell’illecito […]”, individuato questo con la cessazione della condotta, verificatasi per effetto dell’accertamento da parte degli ispettori del lavoro. Alla luce di tale indicazione si tratta di verificare la legittimità o meno del verbale ispettivo che ha ritenuto di applicare la maxisanzione nei confronti del datore di lavoro limitatamente al periodo di vigenza della disciplina antecedente alla data di entrata in vigore del Collegato Lavoro.

Sul punto occorre rilevare che in materia di sanzioni amministrative vigono i principi di legalità, di irretroattività e del divieto di applicazione dell'analogia, risultanti dall'art. 1, L. n. 689 del 1981 i quali comportano l'assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole.

In ragione di ciò occorre prendere atto che la L. n. 183 cit. ha abrogato parzialmente l’illecito per lavoro sommerso, così come disciplinato dal c.d. “Decreto Bersani” nella parte in cui puniva, tra l’altro, l’irregolare occupazione dei lavoratori non subordinati. Sicché, in applicazione del principio di cui all’art. 1 della L. n. 689 cit., laddove la prestazione sia stata resa in assenza dei requisiti tipici del lavoro subordinato, la c.d. “maxisanzione” si potrà applicare solamente sino alla data di entrata in vigore della legge 183/2010, poiché al di là di tale periodo la condotta non rientra nel raggio d’azione sanzionatorio della nuova norma, circoscritta ai soli lavoratori subordinati.

Esame del caso concreto

Ove l’irregolare occupazione di lavoratori non subordinati prosegua quindi sotto il vigore della nuova norma, la maxisanzione dovrà essere applicata per il periodo intercorrente tra la data di commissione dell’illecito e la data del 23/11/2010, oltre la quale invero il fatto non contiene più quel disvalore meritevole di siffatto trattamento sanzionatorio.

Nel caso di specie pertanto gli ispettori della DTL hanno fatto corretta applicazione di tale principio.

Dagli atti istruttori è emerso infatti che il sig. Tizio ha collaborato nell’impresa familiare, giacché ha svolto la propria attività per tre giorni alla settimana, nel corso dei quali, con orario pieno, ha preso contatti con i fornitori, ha sistemato il magazzino, fino ad interloquire con la clientela per verificare eventuali commesse di vendita rispetto alle quali riferiva, ai fini di ogni decisione in merito, al titolare dell’impresa. Ne segue pertanto che Tizio, nel periodo compreso tra il 01/01/2010 e il 31/01/2011 ha svolto in via continuativa e prevalente attività di lavoro per l’impresa familiare all'oscuro della Pubblica Amministrazione, perché svolta in assenza di apposita comunicazione all’INAIL. In ragione di ciò gli ispettori del lavoro hanno applicato nei confronti del titolare dell’impresa familiare maxisanzione per lavoro sommerso per il periodo compreso tra il 01/01/2010 e il 23/11/2010. Per quanto riguarda invece il periodo di attività successiva all’entrata in vigore della L. n. 183 cit. e che si è svolto dal 24/11/2010 al 31/01/2011 gli ispettori non hanno applicato la maxisanzione, ma hanno evidenziato all’INPS il mancato versamento degli oneri contributivi relativi alla posizione di Tizio e ciò ai fini delle eventuali azioni di recupero dell’Ente previdenziale.

Sotto quest’ultimo aspetto non deve trarre in equivoco l’affermazione contenuta nella circolare n. 38 del 2010 che vuole l’intera fattispecie sottoposta alla regolamentazione della nuova disciplina, in ragione della prevalenza del “momento consumativo dell’illecito”, verificatosi nel caso di specie nel mese di gennaio 2011.

Piuttosto quest’ultima espressione consente di fugare le perplessità che susciterebbe una lettura superficiale del provvedimento e che vorrebbe che le condotte ab origine illecite, per il sol fatto di essere proseguite sotto la vigenza della nuova norma, possano fruire di un trattamento premiale, attesa la non sanzionabilità del lavoro irregolare privo dei requisiti della subordinazione. Un tale assunto si pone in palese contrasto con il principio di irretroattività di cui all’art. 1 della L. n. 689 cit. e risulta altresì discriminatorio e irragionevole nei confronti di coloro che hanno arrestato il proprio agire illecito antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 183 cit. e che malgrado ciò, per il principio tempus regit actum, debbono sottostare al rigoroso regime sanzionatorio previsto dalla precedente disciplina.

A bene vedere la locuzione “momento consumativo dell’illecito”, contenuta nella circolare n. 38 cit., si riferisce alla diversa ipotesi in cui la condotta inizialmente illecita abbia comunque mantenuto tale disvalore anche all’atto e dopo l’entrata in vigore della L. n. 183 cit., perpetrando l’offesa al bene giuridico protetto dalla fattispecie sanzionatoria, così come rivisitata da quest’ultima Legge. Ciò in sostanza si verifica a fronte di un’irregolare occupazione di lavoratori subordinati che sia iniziata sotto la pregressa disciplina e sia poi proseguita anche nel vigore della nuova Legge. Solo in tal caso la fattispecie può ritenersi “ancora illecita” e suscettibile di essere regolamentata dalla nuova disciplina, poiché proprio nel vigore di essa viene compiuto l’ultimo atto che porta alla cessazione dell’illecito.

In ultimo si sottolinea che la qualificazione del rapporto di Tizio in termini di collaborazione familiare, così come conferita dagli ispettori per tutto il periodo di svolgimento della prestazione lavorativa (dal 01/01/2010 al 31/01/2011), ha garantito uniformità all’accertamento in ordine alla natura del rapporto di lavoro di Tizio, superando, di fatto, l’astratta e artificiosa presunzione di subordinazione prevista dalla circolare n. 38/2010 per il periodo di prestazione lavorativa intercorrente tra il 24/11/2010 il 30/01/2011. In tal modo è stata scongiurata una conseguenza poco comprensibile, cioè quella di una scissione della natura del rapporto di Tizio basata sul mero dato temporale riferito al 24/11/2010: collaborazione familiare per il periodo intercorrente tra il 01/01/2010 e il 23/11/2010 e lavoro subordinato per l’arco di tempo compreso tra il 24/11/2010 e il 31/01/2011. Con l’ulteriore sfavorevole effetto di rendere applicabile la maxisanzione anche per quest’ultimo lasso temporale.


NOTE

i L’art. 1 comma 1 del T.U. del n. 1124 cit. stabilisce espressamente che “è obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro delle persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, siano addette a macchine mosse non direttamente dalla persona che ne usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi e impianti elettrici o termici, nonché delle persone comunque occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi, i quali comportino l'impiego di tali macchine, apparecchi o impianti”. Il secondo comma recita testualmente che “l'obbligo dell'assicurazione ricorre altresì quando le macchine, gli apparecchi o gli impianti di cui al precedente comma siano adoperati anche in via transitoria o non servano direttamente ad operazioni attinenti all'esercizio dell'industria che forma oggetto di detti opifici o ambienti, ovvero siano adoperati dal personale comunque addetto alla vendita, per prova, presentazione pratica o esperimento”. Il comma successivo elenca tutta una serie di attività soggette all’obbligo assicurativo e che non presentano i requisiti sopra descritti. Da rilevare in proposito che l’articolo de quo è stato oggetto nel corso del tempo di ripetuti interventi correttivi della Corte Costituzionale al fine di adeguare la norma all’evoluzione dei contesti lavorativi, così da ricomprendere nell’obbligo di assicurazione anche attività escluse in sede di stesura. Si segnalano a tal fine la sentenza 8-21 marzo 1989, n. 137 che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 1, terzo comma, punto 27), in relazione al successivo art. 4, punto 1), nella parte in cui non comprende tra le persone soggette all'assicurazione obbligatoria i ballerini e i tersicorei addetti all'allestimento, alla prova o all'esecuzione di pubblici spettacoli (Cfr. sentenza 25 marzo-7 aprile 1981, n. 55). La stessa Corte, con sentenza 19 dicembre 1985, n. 369 ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 1, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 ed 1 e 4, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 nelle parti in cui non prevedono le assicurazioni obbligatorie a favore del lavoratore italiano operante all'estero alle dipendenze di impresa italiana, e con sentenza 7-26 luglio 1988, n. 880, l'illegittimità degli artt. 1 e 4, nelle parti in cui non prevedono l'assicurazione obbligatoria a favore degli artigiani italiani che lavorano all'estero. Ancora cfr. sentenza 25 marzo-7 aprile 1981, n. 55 che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 1, in relazione all'art. 4, n. 1, stesso testo unico, nella parte in cui non comprende nelle previsioni, di cui al terzo comma dell'art. 1 medesimo, le persone che siano comunque addette, in rapporto diretto con il pubblico, a servizio di cassa presso imprese, i cui dipendenti sono soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La stessa Corte, con sentenza 19 dicembre 1985, n. 369 ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 1, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 ed 1 e 4, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 nelle parti in cui non prevedono le assicurazioni obbligatorie a favore del lavoratore italiano operante all'estero alle dipendenze di impresa italiana, e con sentenza 7-26 luglio 1988, n. 880 l'illegittimità degli artt. 1 e 4, nelle parti in cui non prevedono l'assicurazione obbligatoria a favore degli artigiani italiani che lavorano all'estero.

ii Cfr. Cass. Civ. n. 5148/04.

iii L’art. 4 comma 1 del T.U. n. 1124 cit. per i punti compresi nn. 1, 2 e 6 recita testualmente: “Sono compresi nell'assicurazione:

1) coloro che in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione;

2) coloro che, trovandosi nelle condizioni di cui al precedente n. 1), anche senza partecipare materialmente al lavoro, sovraintendono al lavoro di altri;

omissis

6) il coniuge, i figli, anche naturali o adottivi, gli altri parenti, gli affini, gli affiliati e gli affidati del datore di lavoro che prestino con o senza retribuzione alle di lui dipendenze opera manuale, ed anche non manuale alle condizioni di cui al precedente n. 2)”.

iv La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha introdotto l’art. 230-bis c.c. che, al primo comma stabilisce che “salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa, sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi”.

v Al riguardo deve rimarcarsi il carattere residuale dell’impresa familiare nel senso che la stessa sussiste solo qualora le parti abbiano dato vita, anche in via di fatto, a un’impresa in senso tecnico come descritta dall’art. 2082 c.c. e al contempo non abbiano inteso costituire diverso rapporto di lavoro, sia esso subordinato o di natura associativa o societario. Tale caratteristica, tuttavia, non elide le tutele riconosciute al collaboratore familiare, giacché come rilevato dalla Suprema Corte “il carattere residuale dell'impresa familiare, quale risulta dall'"incipit" dell'art. 230 "bis" cod. civ., mira a coprire le situazioni di apporto lavorativo all'impresa del congiunto - parente entro il terzo grado o affine entro il secondo - che non rientrino nell'archetipo del rapporto di lavoro subordinato o per le quali non sia raggiunta la prova dei connotati tipici della subordinazione, con l'effetto di confinare in un'area limitata quella del lavoro familiare gratuito […]”. Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 18/10/2005, n. 20157. La prestazione lavorativa assume pertanto connotati ampi dovendosi intendersi qualsiasi tipo di attività (intellettuale, manuale, direttiva o esecutiva) che sia astrattamente idonea a costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo. Tale attività deve essere prestata con apporto continuativo il quale non richiede una presenza del lavoratore ininterrotta e permanente in azienda, ma caratterizzata dalla costanza e dalla regolarità nel tempo (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 23/09/2002, n. 13849).

vi Cfr. Cass. Civ. n. 12012/03.

vii Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 23/09/2002, n. 13849.

viii Cfr. circolare INAIL n. 29/1990 relativa all’assicurabilità dei familiari che operano in aziende non configurabili come impresa familiare, ovvero la circolare INAIL n. 97/1997 sulla delimitazione dell’impresa artigiana.

ix Cfr. nota INAIL Prot. 60010.25/08/2008.0006793 del 25 agosto 2008.

x Cfr. Corte Cost. n. 171/02.

xi Per tale nozione assume rilievo anche il concetto di attività prestata in modo prevalente (Cfr. Circolare INPS 28 dicembre 1983 n. 3006/C con allegato il parere del Consiglio di Stato del 9 marzo 1982; circolare INPS n. 179 del 1989; Cfr. circolare INPS n. 25 del 7 febbraio 1997; Cfr. Circolare Agenzia delle Entrate n. 32/E del 21 giugno 2005).

xii Contenuta nell’art. 3, comma 3 D.L. n. 12/02, conv. in L. n. 73/02, a seguito delle modifiche apportate dal comma 7 dell’art. 36 bis del D.L. n. 223/06 conv. con mod. in L. n. 248/06.

xiii Fatto salvo il lavoratore autonomo ex art. 2222 c.c..

xiv Nota n. 25 del Ministero del Lavoro del 4 luglio 2007.

xv Cfr. circolare Ministero lavoro n. 33/09.

xvi Attuato con Decreto Ministeriale del 9 luglio 2008.

xvii Cfr. Circolare Ministero del Lavoro n. 20/2008 la quale prevede che nel LUL non debbano essere iscritti neppure i soci lavoratori di attività commerciale e di imprese in forma societaria.

xviii Circolare Ministero del Lavoro n. 33 del 2009.

xix Circolare del Ministero del Lavoro n. 38/2010.

xx La cessazione della condotta illecita potrebbe avvenire anche in modo volontario per licenziamento del lavoratore o per dimissioni dello stesso, ovvero per avvenuta regolarizzazione del rapporto di lavoro.

xxi Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 13/01/2010, n. 356; cfr. Cass. civ. Sez. II Sent., 28/01/2008, n. 1789; cfr. Cons. Stato Sez. VI, 03/06/2010, n. 3497; cfr. Cass. pen. Sez. lavoro, 30/09/2008, n. 25347; cfr. Trib. Roma Sez. II, 30/03/2009; cfr. T.A.R. Lombardia Milano Sez. III Sent., 20/06/2008, n. 2099.

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