Coltivazione cannabis con rilevanza penale

Pubblicato il 21 maggio 2016

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 75 del D.P.R. n. 309/1990 (Testo unico in materia di stupefacenti), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 13, secondo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma della Costituzione, nella parte in cui non include tra le condotte punibili con sole sanzioni amministrative, ove finalizzate in via esclusiva all’uso personale della sostanza stupefacente, anche la coltivazione di piante di cannabis.

Principio eguaglianza non violato

A parere del giudice rimettente, Corte d’appello di Brescia, la disposizione censurata violerebbe il principio di eguaglianza costituzionalmente sancito, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento fra chi detiene per uso personale sostanza stupefacente ricavata da piante da lui stesso precedentemente coltivate (assoggettabile solo a sanzioni amministrative) e chi è sorpreso mentre ha in corso l’attività di coltivazione, finalizzata sempre al consumo personale (condotta che assume, invece, rilevanza penale).

Tra gli altri rilievi, la Consulta ha precisato che, come già evidenziato dalle Sezioni unite di Cassazione nelle sentenze n. 28605 e n. 28606 del 2008, la doglianza in esame poggia sull’inesatta premessa secondo cui la detenzione per uso personale dello stupefacente “autoprodotto” renda non punibile la condotta di coltivazione, rimanendo il precedente illecito penale “assorbito” dal successivo illecito amministrativo.

Tale assorbimento – hanno sottolineato i giudici costituzionali – in realtà non si verifica affatto, in quanto a rimanere “assorbito” è l’illecito amministrativo, dato che la disponibilità del prodotto della coltivazione non rappresenta altro che l’ultima fase della coltivazione stessa, ossia la “raccolta” del coltivato.

In detta prospettiva, in definitiva, non sussiste alcuna disparità di trattamento poiché il detentore a fini di consumo personale dello stupefacente “raccolto” e il coltivatore “in atto” rispondono entrambi penalmente.

E’ quanto si legge nel testo della sentenza della Consulta n. 109 del 20 maggio 2016.

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