E’ stato definitivamente confermato il licenziamento impartito a una dirigente d’azienda alla quale era stato contestato di aver assunto comportamenti fortemente conflittuali nei confronti del datore e non rispettosi dei processi aziendali.
Tra gli altri addebiti, le era stato imputato di aver criticato diffusamente l'operato dei suoi collaboratori e colleghi, assumendo nei loro confronti toni e modalità particolarmente aggressivi, nonchè, nello specifico, di aver accompagnato una email, indirizzata a soggetto esterno, con diversi rilievi polemici ed a tratti diffamatori circa l'operato della società datrice di lavoro.
Con sentenza n. 34425 del 15 novembre 2021, la Suprema corte ha rigettato i motivi di doglianza promossi dalla dirigente contro la decisione di appello confermativa del licenziamento disciplinare, motivi ritenuti per un verso inammissibili e per il resto, comunque, infondati.
Secondo la Corte di cassazione i comportamenti accertati dalla Corte di gravame, unitamente alle ulteriori mancanze ravvisate - consistenti, peraltro, nella parziale omissione dei controlli antiriciclaggio - apparivano assolutamente idonei a ritenere la giustificatezza del recesso, per il quale sarebbe bastata una ragione obiettiva e non pretestuosa.
Ne conseguiva, sul punto, la correttezza delle conclusioni a cui erano giunti i giudici di appello.
Come detto, i motivi erano inoltre inammissibili, in quanto criticavano, essenzialmente, l'interpretazione della contestazione disciplinare, in realtà rimessa al giudice di merito e non censurabile se non per evidenti vizi logici o violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, nonché, in sostanza, la valutazione degli addebiti disciplinari e, dunque, dei fatti contestati, rimessa anch’essa alla discrezionale valutazione del giudice di merito.
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