Condannato l’aspirante avvocato “aiutato” che non passa l’esame

Pubblicato il 09 marzo 2018

Imputazione per concorso a tentato abuso d’ufficio

La Cassazione ha confermato la condanna penale impartita ad una donna, aspirante avvocato, per concorso nel reato di tentato abuso d'ufficio dopo che si era fatta aiutare da tre pubblici ufficiali ai fini del superamento dell'esame di abilitazione professionale forense.

In particolare, l’imputazione che la riguardava era quella di aver concorso, come extraneus, alle condotte rispettivamente poste in essere dai pubblici ufficiali, costituite da atti inidonei, diretti in modo non equivoco, a procurare alla accusata l’ingiusto vantaggio patrimoniale del superamento dell'esame, superamento poi non conseguito per cause indipendenti dalla propria volontà.

Attraverso queste condotte, la candidata, in sede di prova scritta, aveva potuto presentare, come proprio, un elaborato che invece aveva preventivamente predisposto un’altra persona.

Cassazione: intercettazioni utilizzabili

L’imputata aveva promosso ricorso in sede di legittimità, lamentando, tra gli altri motivi, che le intercettazioni delle telefonate tra la stessa e uno dei pubblici ufficiali (cancelliere vigilante dell’esame), utilizzate, come prova, nel procedimento penale pendente nei propri confronti, erano state originariamente disposte nei confronti di altro procedimento e che, come tali, non avrebbero dovuto essere utilizzate.

Doglianza non condivisa dalla Corte di cassazione che, con sentenza n. 10567 dell’8 marzo 2018, ha sottolineato come la Corte d’appello avesse correttamente ritenuto utilizzabili nei confronti della deducente le intercettazioni eseguite sulla utenza telefonica dell’altro soggetto coinvolto nella medesima vicenda. Queste, infatti, erano state poste in essere nello stesso procedimento, "anche in termini di genesi delle relative indagini".

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