Contratto di apprendistato, violazioni formali prive di rilievo

Pubblicato il 22 febbraio 2021

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 4416 del 18 febbraio 2021, ha respinto il ricorso promosso dall’INPS contro una decisione della Corte d’appello.

Nella vicenda esaminata, i giudici di gravame avevano dichiarato non dovuto, dal titolare di un’impresa individuale, quanto preteso dall'Istituto previdenziale a titolo di maggiore contribuzione, conseguente alla violazione di taluni obblighi previsti in relazione alla stipula di un contratto di apprendistato professionalizzante, concluso con una lavoratrice.

L'Istituto di previdenza si era rivolto alla Corte di legittimità, deducendo, come motivo di censura, la violazione e falsa applicazione degli artt. 49 e 53, D.lgs. n. 276/2003.

A suo dire, la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto che l'agevolazione contributiva potesse applicarsi anche ad un contratto di apprendistato in relazione al quale non risultava né la nomina del tutor, né la redazione di un piano formativo individuale, né la tenuta del c.d. libretto formativo.

Ai sensi della disposizione di cui all’art. 53, in particolare, è sancito che, in caso di inadempimento di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di cui al contratto di apprendistato - ossia il conseguimento di una qualifica professionale mediante la formazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, ovvero il conseguimento di un titolo di studio di livello secondario o di titoli di studio universitari e della alta formazione o di specializzazione tecnica superiore – “il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento”.

Decadenza agevolazioni solo per condotte che impediscono la formazione

Secondo la Corte di cassazione, il tenore testuale di tale norma, attribuendo, da un lato, rilevanza a qualsiasi condotta datoriale, anche innominata, che impedisca la realizzazione della finalità formativa e professionalizzante propria del contratto, priverebbe, d'altro lato, di rilievo tutte quelle violazioni di carattere formale che non abbiano impedito il conseguimento di tale finalità.

Nel caso in esame, i giudici di gravame avevano accertato che era stato proprio il titolare della ditta a svolgere le funzioni di tutor e a provvedere alla formazione della lavoratrice senza soluzione di continuità, consentendole di acquisire le competenze e le professionalità dedotte nell'oggetto del contratto. Ciò posto, avevano concluso che, nonostante le mancanze formali evidenziate, non si era verificato alcun inadempimento sostanziale del contratto.

Posta l'intangibilità, in sede di legittimità, dell’accertamento di fatto operato dalla Corte territoriale, gli Ermellini hanno ad ogni modo ritenuto corretta l’esclusione dell'applicazione dell'art. 53, d.lgs. n. 276/2003, per come concluso dai giudici di merito.

Rilievo al grave inadempimento del datore, non a violazioni solo formali

Nella decisione, la Cassazione ha altresì ribadito quanto già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che la decadenza dalle agevolazioni contributive può ritenersi realizzata solo nel caso in cui, sulla base della concreta vicenda in giudizio, l'inadempimento datoriale abbia avuto un'obiettiva gravità, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, oppure in un'attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi propri del contratto.

Il ricorso dell’INPS è stato, quindi, rigettato.

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