Con la sentenza n. 124 depositata il 24 luglio 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che attribuiscono alla giurisdizione tributaria le controversie relative al recupero dei contributi a fondo perduto concessi in fase emergenziale durante la pandemia da COVID-19.
La pronuncia chiarisce definitivamente la natura non tributaria di tali misure, affermando il principio secondo cui le controversie in questione non possono essere trattate dal giudice fiscale.
I contributi a fondo perduto previsti dal D.L. “Rilancio” e dal D.L. “Ristori”
I decreti legge n. 34/2020 (cosiddetto “decreto rilancio”) e n. 137/2020 (cosiddetto “decreto ristori”) hanno introdotto contributi a fondo perduto a sostegno delle attività economiche colpite dall’emergenza sanitaria COVID-19.
In particolare:
Devoluzione delle controversie alla giurisdizione tributaria
Le norme censurate rinviavano al D.lgs. n. 546/1992, attribuendo la competenza al giudice tributario per le controversie relative all’atto di recupero dei contributi ritenuti indebiti. Tale attribuzione ha generato criticità in merito alla natura giuridica del rapporto tra beneficiario e amministrazione.
Il caso esaminato
Il giudizio trae origine dal ricorso promosso dalla società sportiva dilettantistica, destinataria nel 2020 di un contributo di € 4.000,00, poi oggetto di recupero da parte dell’Agenzia delle Entrate per asserita insussistenza dei requisiti.
L’Agenzia notificava un atto di recupero comprendente sanzioni e interessi, per un importo complessivo di oltre € 8.400,00. La società contestava la natura tributaria dell’atto, ritenendo inappropriata la competenza del giudice tributario.
I motivi del rinvio alla Corte costituzionale
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, ritenendo il contributo privo di natura tributaria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli che devolvono la relativa controversia alla giurisdizione speciale tributaria, per contrasto con:
La Corte costituzionale ha chiarito che i contributi a fondo perduto concessi durante l’emergenza COVID-19 non hanno natura tributaria.
Tali somme non comportano una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo, venendo in rilievo l’erogazione, da parte dello Stato, di una somma di denaro a operatori economici privati.
Inoltre, non si configurano come benefici fiscali, poiché non consistono in esenzioni o crediti d’imposta.
Sul punto, la Consulta ha ricordato che gli strumenti di finanza pubblica adottati in situazioni emergenziali si distinguono in sussidi finanziari e benefici fiscali.
I sussidi finanziari consistono in trasferimenti diretti di risorse, come contributi o finanziamenti, a sostegno di soggetti colpiti. I benefici fiscali, invece, riducono l’onere tributario ordinario mediante esenzioni, abbattimenti della base imponibile, riduzioni di aliquota o dilazioni nei pagamenti.
Ebbene, il contributo a fondo perduto non rientra tra i benefici o le agevolazioni fiscali, poiché manca un rapporto tributario preesistente. Esso rappresenta invece una misura di sostegno economico diretto, destinata a soggetti che, a causa dell’emergenza COVID-19 e delle restrizioni imposte, hanno subito una contrazione dell’attività e del fatturato. Si configura quindi come intervento assistenziale e non fiscale, finalizzato a sostenere soggetti colpiti dalla crisi sanitaria.
Neppure il fatto che tali contributi siano determinati sulla base di dati fiscali o gestiti dall’Agenzia delle Entrate è sufficiente a trasformarne la natura in tributaria.
Esclusa, dunque, la natura fiscale dei contributi a fondo perduto, è evidente che anche gli atti ad essi connessi – concessione, diniego e soprattutto ritiro del contributo – non possiedono natura tributaria. Pertanto, tali atti non rientrano nella sfera della giurisdizione tributaria, trattandosi di rapporti estranei all’ambito impositivo.
Secondo la Corte costituzionale, devolvere al giudice tributario le controversie sui contributi a fondo perduto comporta una violazione dell’art. 102, secondo comma, della Costituzione, poiché estende in modo illegittimo le competenze di una giurisdizione speciale oltre i limiti previsti, configurando di fatto l’istituzione di un nuovo giudice speciale non consentito.
Come rilevato dalla giurisprudenza costituzionale, in diverse pronunce, la giurisdizione tributaria deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto.
Le caratteristiche strutturali e funzionali del contributo a fondo perduto confermano che si tratta di una misura economica priva di natura tributaria.
Di conseguenza, le norme che attribuiscono alla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti tali contributi alterano indebitamente l’ambito originario di competenza del giudice tributario, in contrasto con i principi costituzionali sul riparto delle giurisdizioni.
La Consulta, in definitiva, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, del decreto legge n. 137/2020 e dell’art. 25, comma 12, del decreto legge n. 34/2020, "nella parte in cui prevedono che le controversie relative all’atto di recupero del contributo a fondo perduto, previsto dal comma 1 del citato art. 1, sono devolute alla giurisdizione tributaria".
A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, la competenza per le controversie relative al recupero dei contributi a fondo perduto è attribuita alla giurisdizione ordinaria.
Le Corti di giustizia tributaria dovranno dichiarare il difetto di giurisdizione e rimettere la causa al giudice competente.
1. Le controversie sui contributi COVID-19 spettano al giudice ordinario o tributario?
Al giudice ordinario, in quanto i contributi non hanno natura tributaria.
2. La decisione riguarda anche i contributi futuri simili?
Sì, se non configurano prestazioni tributarie, ma sussidi economici diretti.
3. Cosa accade ai procedimenti pendenti presso le Corti tributarie?
Devono essere trasferiti al giudice ordinario, previa dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte del giudice tributario.
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