I contributi di assistenza sanitaria versati dalla superstite di un dipendente bancario alla Cassa di assistenza – anche se destinati a familiari non fiscalmente a carico – non concorrono a formare il reddito da pensione e sono deducibili fino a 3.615,20 € annui.
Ciò è quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate con l’interpello n. 190 del 21 luglio 2025. Un chiarimento che non solo definisce con precisione l’ambito applicativo delle norme fiscali, ma offre un concreto sollievo a chi, dopo la perdita del coniuge dipendente, mantiene attiva la copertura sanitaria integrativa per sé e per i propri cari.
Nel caso esaminato, l’istante è la vedova di un dipendente bancario deceduto, che ha fatto valere il proprio diritto di subentro nella Cassa di assistenza del gruppo presso cui il coniuge era iscritto. In qualità di superstite, l'istante continua a versare i contributi per la copertura sanitaria integrativa e l’assistenza aggiuntiva non solo per sé stessa, ma anche per il figlio non fiscalmente a carico.
Il suo dubbio — e oggetto dell’interpello n. 190 del 21 luglio 2025 — riguarda la possibilità di dedurre tali versamenti dal reddito di pensione: ossia se i contributi, pur essendo corrisposti volontariamente da un soggetto in quiescenza non più dipendente, possano beneficiare della non imponibilità e deducibilità prevista per i contributi versati ad enti o casse aventi esclusivamente fini assistenziali.
L’Istante fa riferimento alla risoluzione n. 65/E del 2 agosto 2016, che stabilisce come “i pensionati, alle stesse condizioni e nei medesimi limiti previsti per i dipendenti, possano dedurre dal reddito complessivo i contributi versati in favore dei familiari – anche non fiscalmente a carico – al Fondo sanitario integrativo del gruppo bancario qualificabile come ente esclusivamente assistenziale (art. 51, c. 2, lett. a), TUIR)”.
Ne consegue che i contributi volontari versati alla Cassa sono deducibili fino a 3.615,20 € annui e, entro tale plafond, possono essere inseriti nel modello 730, rigo E26, codice 21.
Prima di confermare la soluzione proposta dall’istante, l’Agenzia delle Entrate, nella risposta n. 190/2025, delinea il contesto normativo di riferimento, fondato su due disposizioni del TUIR che, pur operando in ambiti distinti, si integrano per disciplinare la deducibilità dei contributi di assistenza sanitaria:
Complementarità, non alternatività
La dottrina e la prassi (circ. 50/2002, ris. 65/E/2016, ris. 107/E/2014) chiariscono che le due norme vanno lette in parallelo, non in contrapposizione.
Nel caso concreto, lo statuto della Cassa di assistenza del gruppo bancario in cui è iscritta la vedova risponde perfettamente ai requisiti di “ente con finalità esclusivamente assistenziali” di cui all’art. 51, c. 2, lett. a) TUIR. In particolare lo statuto:
Alla luce dell’art. 51, comma 2, lett. a), i contributi così versati dalla vedova – compresi quelli destinati alle prestazioni per il figlio non a carico – non concorrono a formare il suo reddito di pensione, fino al limite annuo di € 3.615,20. Analogamente, ai sensi dell’art. 10, c. 1, lett. e‑ter) TUIR, gli stessi versamenti convivono nel medesimo plafond qualora la Cassa sia iscritta all’Anagrafe dei fondi sanitari integrativi del SSN.
Se il sostituto d’imposta non ha già escluso tali contributi dal lordo della pensione, la contribuente potrà inserirli in deduzione nella dichiarazione dei redditi:
In tal modo, l’interpretazione combinata delle due norme garantisce alla superstite – pur non più dipendente – lo stesso trattamento di deducibilità riconosciuto ai lavoratori attivi.
NOTA BENE: Tale parità di trattamento tra lavoratori e pensionati superstiti, offre un concreto vantaggio fiscale a chi mantiene attiva la propria copertura sanitaria integrativa.
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