E’ costituzionalmente illegittima la norma che prevede che il provvedimento sanzionatorio per le cooperative che si sottraggono alla vigilanza consista nello scioglimento dell’ente per atto dell’autorità.
Con la sentenza n. 116, depositata il 21 luglio 2025, la Corte Costituzionale, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, ha ritenuto che tale sanzione sia in contrasto con gli articoli 3 e 45 della Costituzione, in quanto introduce una sanzione sproporzionata e automatica, non fondata su un accertamento concreto della perdita delle finalità mutualistiche. La norma censurata non consente all’autorità di vigilanza di adottare misure più graduate, come la nomina di un commissario ai sensi dell’art. 2545-sexiesdecies c.c., anche tra i componenti degli organi dell’ente stesso.
I giudici costituzionali hanno affermato che la mera inottemperanza agli inviti dell’autorità di vigilanza — pur censurabile — non giustifica lo scioglimento automatico della cooperativa, specie in assenza di un’indagine sull’effettivo perseguimento degli scopi sociali e mutualistici. Ciò risulterebbe lesivo non solo del principio di proporzionalità, ma anche della funzione sociale riconosciuta alla cooperazione dall’art. 45 della Carta fondamentale.
Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con ordinanza del 4 settembre 2024 (n. 183/2024), ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale sull’art. 12, comma 3, secondo periodo, del D.lgs. n. 220/2002.
La norma oggetto del giudizio prevede che le cooperative che si sottraggono alla vigilanza o non rispettano le finalità mutualistiche siano:
Dubbi di costituzionalità
Il Consiglio di Stato contesta che la sanzione automatica di scioglimento e la devoluzione patrimoniale siano eccessive e sproporzionate, in particolare per le sole ipotesi di mancata collaborazione alla vigilanza, senza un accertamento effettivo della perdita dello scopo mutualistico.
La norma, secondo il giudice rimettente, non distingue tra condotte gravi e semplici omissioni e non consente soluzioni alternative (es. nomina di un commissario), violando così i principi di proporzionalità, ragionevolezza e tutela della funzione sociale delle cooperative.
Infatti, secondo il giudice a quo, la norma viola il principio di proporzionalità (artt. 3 e 45 Cost.) nella sua forma detta "ordinale", perché equipara irragionevolmente due situazioni molto diverse:
In sostanza, il legislatore avrebbe trattato allo stesso modo condotte dal disvalore ben differente, violando i principi di eguaglianza e razionalità della sanzione.
La norma oggetto di censura si colloca tra le sanzioni amministrative previste dall’art. 12 del D.lgs. 220/2002, e rappresenta il livello più severo, poiché prevede lo scioglimento coatto della cooperativa. Di conseguenza, anche a questa misura si applica il principio di proporzionalità, secondo cui la sanzione deve essere adeguata alla gravità dell’infrazione.
La finalità della legge è, in teoria, giustificabile: garantire che le cooperative rispettino le loro finalità mutualistiche, come previsto dalla Costituzione (art. 45). Tuttavia, la disposizione prevede lo scioglimento automatico dell’ente anche solo in presenza di qualsiasi inadempienza all’obbligo di sottoporsi alla vigilanza.
In questo modo, la norma equipara comportamenti molto diversi, trattando con la stessa durezza sia chi effettivamente non rispetta gli scopi mutualistici sia chi si limita a non rispondere agli inviti dell’autorità di controllo — anche per mera disattenzione o negligenza.
La portata della norma è estremamente ampia, poiché comprende sia azioni volontarie e fraudolente, sia omissioni non intenzionali. In base alla regolamentazione attuale (decreti ministeriali del 5 marzo 2025), è sufficiente non rispondere alle comunicazioni inviate via PEC per essere considerati inadempienti — come avvenuto nel caso specifico esaminato. Non è nemmeno richiesto un accesso fisico da parte dell’ispettore.
Di conseguenza, anche una semplice disattenzione nella gestione della posta elettronica certificata da parte del legale rappresentante può portare allo scioglimento, esattamente come se l’ente fosse privo dei requisiti mutualistici.
Il legislatore, nel disciplinare la fattispecie, ha scelto un rimedio estremo, senza considerare misure alternative meno invasive (i cosiddetti least restrictive means) che avrebbero comunque permesso di raggiungere lo scopo di tutela pubblica.
In passato, prima dell’introduzione del D.lgs. 220/2002, l’amministrazione usava un approccio più moderato, applicando la gestione commissariale: una misura che sostituiva l’organo dirigente con un commissario, senza dissolvere l’ente.
La sanzione non colpisce solo la cooperativa come entità giuridica, ma ha ripercussioni significative sulle persone fisiche coinvolte, cioè i soci. Lo scioglimento forzato comporta:
La Corte costituzionale ha più volte criticato sanzioni amministrative che, pur non essendo penali, finiscono per incidere profondamente su diritti fondamentali.
Sebbene la condotta sanzionata sia riferibile solo al legale rappresentante (che omette o rifiuta la collaborazione), le conseguenze ricadono su tutta la cooperativa e sui suoi soci. Questi ultimi, in molti casi, potrebbero essere all’oscuro dell’inadempienza.
Va dunque affermata l’incostituzionalità dell’articolo 12, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 220 del 2002, nella parte in cui stabilisce che, nei confronti delle cooperative che non si sottopongono alla vigilanza, debba essere adottato lo scioglimento d’ufficio da parte dell’autorità, con il conseguente obbligo di devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici ai sensi dell’articolo 2514, primo comma, lettera d), c.c.
Questa impostazione si inserisce nel novero delle soluzioni compatibili con i principi costituzionali, poiché trae origine da strumenti già presenti nell’ordinamento. Ciò non preclude comunque al legislatore di intervenire in futuro, esercitando la propria discrezionalità per individuare altre forme sanzionatorie, eventualmente più adeguate, purché rispettose dei principi costituzionali analizzati in questa sede.
La Corte, nella sentenza n. 116/2025, ha ribadito che, ancora oggi, il modello cooperativo conserva un ruolo centrale nell’ambito dell’economia civile, configurandosi come una tipologia evoluta di impresa, valida anche nei contesti socialmente più avanzati.
A differenza delle società benefit, che rappresentano un’evoluzione recente, la cooperativa non può essere sostituita da queste ultime, in quanto presenta caratteristiche distintive. Tra queste spiccano:
Inoltre, la cooperazione si distingue per la generazione di valore economico che si proietta nel tempo, destinata attraverso i fondi mutualistici a favorire la crescita e il rafforzamento del sistema cooperativo.
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