Coronavirus e carcere. Rischio strutturale, no a istanze generiche

Pubblicato il 11 settembre 2020

E’ stato confermato, dalla Corte di cassazione, il rigetto dell’istanza promossa da un detenuto al fine di vedersi sostituire la misura della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari in ragione della situazione emergenziale Coronavirus.

L’interessato, in carcere per reati di mafia, si era rivolto alla Suprema corte eccependo, tra gli altri motivi, una violazione di legge avuto riguardo alle disposizioni in tema di custodia cautelare in carcere e tutela della salute dei detenuti, in riferimento alla giurisprudenza costituzionale e convenzionale e agli articoli della Costituzione e della Cedu.

Lo stesso aveva lamentato che i giudici cautelari non avessero adeguatamente verificato le condizioni igienico sanitarie del carcere dove si trovava e i pericoli per la salute dei detenuti in relazione alla diffusione del Covid-19, anche in considerazione del fatto che l’istituto detentivo si trovava in una delle zone maggiormente a rischio pandemia.

Rischio concreto assente, nessun pericolo effettivo: custodia in carcere confermata

La Suprema corte, con sentenza 25831 del 10 settembre 2020, ha giudicato manifestamente infondati i rilievi del ricorrente.

In primo luogo, ha ricordato come la motivazione del provvedimento cautelare sia censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito.

E nel caso esaminato, la difesa del detenuto non aveva argomentato sulla manifesta illogicità della motivazione evidenziando solo ragioni di dissenso rispetto alle conclusioni del Tribunale del Riesame.

A seguire, gli Ermellini hanno sottolineato come rispetto all’istanza motivata dal dedotto rischio di contagio da Covid, i giudici di merito l’avessero rigettata su due presupposti centrali, ed ossia la strutturalità del rischio e la genericità dell’istanza formulata.

In sede di riesame, inoltre, era stata evidenziata l’importanza delle misure concrete poste in essere dal legislatore per alleggerire la presenza all’interno delle strutture carcerarie proprio in relazione al pericolo di contagio.

Era stato quindi concluso per l’assenza di rischio concreto di contagio nei riguardi dell’interessato, soggetto giovane e non affetto da alcuna patologia che lo esponesse a pericolo effettivo e prevedibile per la sua salute.

Pericolosità sociale del detenuto, esigenze cautelari gravissime prevalenti

Nel caso in esame, in definitiva, erano state ritenute prevalenti le esigenze cautelari gravissime derivanti dall’inalterato giudizio di pericolosità sociale dell’indagato, tali da imporre il mantenimento della misura cautelare in carcere.

Conclusioni, queste, giudicate corrette ed adeguate dai giudici di Piazza Cavour, i quali hanno ritenuto per contro evidente la genericità del ricorso dell’indagato, volto ad avvalorare la tesi secondo cui l’emergenza Coronavirus renderebbe la permanenza in ambito carcerario di per sé pericolosa per la salute di qualsiasi detenuto, a prescindere dallo stato di salute e dall’età, ovvero anche dalle concrete condizioni detentive.

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