Crisi di liquidità aziendale: prova di “forza maggiore” contro il dolo dell’imprenditore

Pubblicato il 08 febbraio 2014 La Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, con la sentenza n. 5905 del 7 febbraio 2014, accoglie il ricorso di un imprenditore e sancisce un ulteriore importante principio in materia di non colpevolezza dell’imputato accusato di omessi versamenti – nello specifico ritenute – vista l’effettiva grave crisi di liquidità in cui lo stesso versava.

Dunque, i Supremi giudici ribadiscono, ancora una volta, dopo il caso specifico degli omessi versamenti Iva, come la carenza di liquidità dell’imprenditore possa essere considerata un’esimente anche per il reato di omesso versamento di ritenute certificate.

Ciò, soprattutto, alla luce del fatto che lo stesso imprenditore aveva provveduto prima a pagare gli stipendi ai dipendenti e, poi, si era trovato nella condizione di non avere più i soldi per il versamento delle ritenute d'acconto.

Ovviamente è onere dell’imprenditore provare l’esistenza della circostanza esimente sopravvenuta, come appunto la difficoltà finanziaria e crisi di liquidità che ha impedito allo stesso di far fronte ai propri impegni.

A differenza della Corte di Appello, che aveva ritenuto che le mancate disponibilità finanziarie dell’imprenditore, dopo il pagamento delle retribuzioni nette ai suoi dipendenti era “cosa priva di rilievo”, la Corte si sofferma sulla specifica formazione progressiva e temporale del reato.

Dunque, anche se l’imprenditore deve essere previdente e accantonare mese per mese le provviste necessarie per far fronte ai propri doveri di sostituto d’imposta non si può non tener conto, ai fini dell’esclusione della sua colpevolezza, anche della circostanza di "forza maggiore", che appunto consiste in una crisi di liquidità al momento dello scadere del termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta.

Conclude, così, la sentenza che anche con riferimento al delitto di omesso versamento delle ritenute d’acconto non può escludersi a priori l’esistenza della causa di “forza maggiore”, che deve essere provata dall’imputato e che non può non essere riscontrata dal giudice.
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