Con la legge 26 settembre 2025, n. 144, pubblicata in G.U., in vigore dal 18 ottobre 2025, il legislatore muove il primo passo verso l’introduzione di un salario minimo legale, segnando al contempo un cambio di paradigma: dal criterio della rappresentatività sindacale a quello del contratto collettivo “più applicato”.
Una svolta rilevante che mira a garantire trattamenti retributivi equi e a contrastare il dumping contrattuale.
La norma si articola lungo più direttrici: rafforzamento della contrattazione collettiva, individuazione del trattamento economico complessivo minimo, estensione di quest’ultimo anche ai lavoratori non coperti da CCNL, secondo criteri di affinità settoriale.
Ne deriva un modello di applicazione erga omnes differenziato per comparto produttivo.
Ulteriori disposizioni riguardano i rinnovi contrattuali: da un lato, la possibilità per il Governo di introdurre misure, anche di natura incentivante, a sostegno del rinnovo dei contratti scaduti o in scadenza; dall’altro, l’intervento diretto del Ministero del Lavoro per i settori non coperti o in presenza di contratti non rinnovati entro termini congrui, limitatamente ai trattamenti economici complessivi.
Ma non mancano profili critici. La norma, infatti, modifica i riferimenti alla contrattazione collettiva, abbandonando il principio della rappresentatività comparata — cardine del nostro ordinamento giuslavoristico — in favore della mera numerosità applicativa, parametro già ritenuto, dalla giurisprudenza, suscettibile di rilevanti distorsioni.
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