Danno non patrimoniale: da applicare le Tabelle di Milano più aggiornate

Pubblicato il 23 novembre 2019

Cosa accade se durante il giudizio di appello variano le tabelle utilizzate in primo grado per determinare l'ammontare del danno non patrimoniale alla persona danneggiata?

La Cassazione, con ordinanza n. 30516 del 22 novembre 2019, ha risposto a questo interrogativo, ribadendo un principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità.

In particolare, ha chiarito che la sopravvenuta variazione, in corso di causa, delle Tabelle per il risarcimento del danno, deve essere tenuta in considerazione dal giudice di appello qualora le nuove tabelle prevedano l'applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del "punto-base" in conseguenza di un’ulteriore rilevazione statistica dei dati sull'ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari.

In questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c.

Nel caso di specie, i parametri utilizzati per la liquidazione del danno non patrimoniale erano le Tabelle del Tribunale di Milano del 2008.

Di seguito, la regola fissata dalla Corte: “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando, all'esito del giudizio di primo grado, l'ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema "tabellare", la sopravvenuta variazione - nelle more del giudizio di appello - delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l'applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del "punto-base" in conseguenza di una ulteriore rilevazione statistica dei dati sull'ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c.”.

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