Demansionamento, legittimo il licenziamento se manca la buona fede del lavoratore

Pubblicato il 24 gennaio 2018

Una società è stata condannata alla reintegrazione nel posto di lavoro, ai sensi dell’art. 18 della Legge n. 300 del 1970 (nel testo precedente alla novità apportata dalla Legge n. 92/2012), di un lavoratore che – adibito a mansioni inferiori – aveva atteso il decorso di oltre due mesi, prima di richiedere la riassegnazione alle mansioni precedentemente svolte e che, dal giorno immediatamente successivo all’invio della lettera di diffida, si era assentato dal posto di lavoro. Per tale assenza ingiustificata per “oltre quattro giorni”, il lavoratore era stato licenziato dalla società.

Tale decisione è stata ritenuta illegittima dalla Corte di Appello, che aveva ritenuto giustificato – visto il demansionamento subito dal lavoratore - in base all’articolo 1460 del codice civile, il rifiuto da parte del dipendente di rendere una prestazione diversa da quella in precedenza assegnatagli. Di qui la condanna alla reintegra.

La Corte di Cassazione, intervenuta a dirimere il ricorso presentato dalla società, muove da una diversa considerazione che si fonda sulla proporzionalità della reazione del lavoratore all’inadempimento datoriale e sulla sua rispondenza al principio di buona fede.

Rifiuto completo della prestazione lavorativa solo se anche il datore è inadempiente

Si legge nella sentenza n. 836 del 16 gennaio 2018, che il lavoratore – in caso di rifiuto della prestazione a seguito di adibizione a mansioni inferiori - non può rendersi totalmente inadempiente alla prestazione sospendendo ogni attività lavorativa, nel caso in cui il datore di lavoro assolva a tutti gli altri obblighi ricadenti su di lui come, per esempio: il pagamento della retribuzione, la copertura previdenziale e assicurativa, l’assicurazione del posto di lavoro.

Il lavoratore può, infatti, rendersi totalmente inadempiente e invocare l’art. 1460 cod. civ. soltanto se è totalmente inadempiente anche l’altra parte.

Secondo la Suprema Corte, infatti, “l’adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartito dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod. civ., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l’art. 1460 cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte”.

In base a tale principio, la Cassazione, con sentenza n. 836/2018, accoglie il ricorso della società e dichiara legittimo il licenziamento intimato al lavoratore, ritenendo contrario alla buona fede il comportamento del dipendente.

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