Discriminatorie tra i sessi le norme dei Ccnl sull'età per la prosecuzione del lavoro

Pubblicato il 17 gennaio 2011 Le parti che stipulano contratti collettivi di lavoro dovranno mettere mano alle norme che prevedono, in caso di licenziamento per il raggiungimento del requisito pensionistico, età differenziate per uomini e donne. Tali clausole sono annullabili.

E' insita nella legislazione pensionistica italiana che sia definita una diversa età a seconda del sesso per la maturazione del requisito della pensione di vecchiaia. Questo non presuppone però che i contratti lavorativi possano contenere norme che dispongano età lavorative diverse, per uomini e donne, oltre le quali non è più assicurata la tutela legale sui licenziamenti.

E' il caso della sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Milano, n. 1070 del 27 dicembre 2010 che ha ribaltato la decisione dei giudici di primo grado in merito al caso di una lavoratrice dirigente licenziata al compimento dei 60 anni negando la corresponsione dell'indennità supplementare. La Corte territoriale ha invece disposto la condanna del datore di lavoro al pagamento di detta indennità ritenendo che i contratti collettivi non possano disporre diversità di trattamento tra dirigenti uomo e donna nella prosecuzione del rapporto di lavoro.

Peraltro è ormai criterio seguito dalla Cassazione e dalla Consulta quello per cui deve essere permesso anche alle donne di lavorare sino alla stessa età stabilita per gli uomini, senza che rilevi la maturazione del diritto alla pensione. Il principio è stato trasposto anche in legge dal decreto legislativo n. 5 del 25 gennaio 2010 che ha modificato l'articolo 30, comma 1 del Codice delle pari opportunità fra uomo e donna, secondo cui “Le lavoratrici in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia hanno diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali.".
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