Distribuire la Play Station "modificata" è reato

Pubblicato il 26 maggio 2015 Con sentenza n. 21621 del 15 aprile 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha respinto il ricorso di un imputato, avverso la pronuncia con cui la Corte d'Appello confermava la sua condanna per il reato di cui all'art. 171 ter comma f)bis L. 633/1941 (come modificato ex D.Lgs 68/2003), per aver egli distribuito, venduto o comunque detenuto per scopi commerciali alcune consolle del gioco Play Station, modificate e riadattate al fine di eludere le efficaci misure tecnologiche di cui all'art. 102 quater medesima legge (a tutela del diritto d'autore).

Ha chiarito la Cassazione – respingendo le censure del ricorrente – come sia innegabile che l'introduzione di sistemi, come nel caso specifico, che superino l'ostacolo al dialogo tra consolle e software non originale, ottengano il risultato di aggirare i meccanismi di protezione apposti sull'opera protetta.

Alle modifiche contestate deve dunque riconoscersi – ha precisato ancora la Suprema Corte confermando quanto già dedotto in secondo grado – la prevalente finalità di eludere le misure di protezione di cui all' art. 102 quater in considerazione di una serie di elementi ricorrenti, quali il modo in cui le consolle sono importate, vendute e presentate al pubblico, la maniera in cui le stesse sono state configurate, la destinazione essenzialmente individuabile nell'esecuzione di videogiochi.

La individuata finalità consente dunque di poter affermare che rientrano nell'ambito della previsione penale di cui sopra, indistintamente tutti i congegni principalmente finalizzati – per l'appunto come i microchip in questione – a rendere possibile l'elusione della norma di cui all'art. 102 quater
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