Email, messaggi Whatsapp e Sms: sì al sequestro in indagine per bancarotta

Pubblicato il 15 luglio 2021

Email, messaggi Whatsapp e Sms sono documenti informatici per la cui acquisizione processuale non serve l’autorizzazione prevista per le intercettazioni.

Sequestro probatorio di email e messaggi telefonici

In tema di mezzi di prova, i messaggi di posta elettronica memorizzati nell’account o nel computer del mittente ovvero del destinatario hanno natura di documenti informatici.

La loro acquisizione processuale, dunque, non soggiace alla disciplina delle intercettazioni di cui all’art. 266-bis c.p.p. che postula la captazione di un flusso di comunicazioni in atto, bensì a quella dettata dall’art. 234 c.p.p. concernente i documenti.

E’ da considerare, quindi, legittimo il sequestro probatorio di messaggi di posta elettronica già ricevuti o spediti e conservati nelle caselle di posta del computer, atteso che tali comunicazioni hanno natura di documenti.

Stesso dicasi per i messaggi WhatsApp e gli Sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sottoposto a sequestro.

Avendo anche essi natura di documenti, la relativa acquisizione non costituisce attività di intercettazione né è applicabile la disciplina di cui all’art. 254 c.p.p. in tema di sequestro di corrispondenza; i testi dei messaggi, infatti, non costituendo il diretto obiettivo del vincolo, non rientrano neppure in tale ultimo concetto, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente.

Acquisizione ex post dei dati nei dispositivi sequestrati

Ciò posto, la Corte di cassazione, nell’ambito di un’indagine per condotte di bancarotta in relazione al fallimento di una società, ha ritenuto legittimo il sequestro probatorio disposto sui messaggi di posta elettronica e sui messaggi WhatsApp e Sms estrapolati a seguito del sequestro dei dispositivi hardware che li contenevano.

Secondo gli Ermellini, non trattandosi di un flusso di comunicazioni in atto, non vi era stata un’attività di captazione contestuale che avrebbe dovuto essere autorizzata ex artt. 266 e ss. C.p.p. ma era regolare l’effettuata acquisizione ex post dei dati conservati nella memoria dei dispositivi.

Con sentenza n. 27122 del 14 luglio 2021, in definitiva, è stato respinto, tra gli altri, il motivo di doglianza con cui l’indagato aveva lamentato, in relazione alle operazioni di sequestro dei messaggi, la violazione della disciplina in materia di intercettazioni.

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