Equa riparazione. Si contano anche le indagini preliminari

Pubblicato il 24 luglio 2015

Con sentenza n. 184 depositata il 23 luglio 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 2 comma 2 bis della Legge n. 89/2001 (legge "Pinto" in materia di equa riparazione), nella parte in cui prevede che il processo penale debba considerarsi iniziato con l'assunzione della qualità di imputato, ovvero, quando l'indagato, in seguito a un atto dell'autorità giudiziaria, abbia avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari a suo carico.

La presente questione di legittimità era stata sollevata della Corte d'Appello di Firenze (nonché da quella di Catanzaro, con ricorsi poi riuniti), chiamata a decidere in ordine ad una opposizione avverso un decreto di rigetto della domanda di equa riparazione, per eccessiva durata di un processo penale.

Nel decreto impugnato, in particolare, la durata complessiva del procedimento (non ritenuta eccessiva) era stata valutata, escludendo dal calcolo la fase delle indagini preliminari (di oltre sei anni e mezzo), in applicazione del menzionato art. 2 comma 2 bis Legge Pinto, secondo cui "il processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l'indagato ha avuto legale conoscenza delle indagini preliminari".

Sul punto la Consulta – condividendo le argomentazioni del giudice rimettente - si rifa alla giurisprudenza di Strasburgo e chiarisce come la violazione del diritto ad una celere definizione del processo penale (di cui all'art. 6 Cedu) generi la pretesa ad un indennizzo idoneo a ristorare il patimento cagionato dalla eccessiva pendenza dell'accusa, quando questa sia stata espressa per mezzo di un atto dell'autorità giudiziaria ed abbia così acquisito una consistenza tale da ripercuotersi significativamente nella vita dell'indagato.

Va da sè, dunque - proprio in adesione all'interpretazione di matrice comunitaria – che l'equa riparazione avrà ad oggetto non solo la fase che la normativa nazionale qualifica come "processo", ma anche le attività procedimentali che la precedono, ove siano idonee a determinare il danno al cui ristoro l'azione è preposta.

Si individua pertanto nella Cedu, lo strumento ermeneutico con cui confrontare la legittimità delle scelte legislative in punto di equa riparazione, che invita a superare i profili di inquadramento formale della fattispecie, andando piuttosto a valorizzare la sostanza dei diritti umani in essa coinvolti. 

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