Esclusi sconti contributivi per part-time sotto il minimale previsto dal CCNL

Pubblicato il 25 giugno 2019

È sempre più frequente la prassi delle aziende che, nonostante il CCNL applicato preveda un orario minimo da rispettare, derogano a tale istituto nella lettera di assunzione mediante un accordo individuale tra le parti. Abituale è anche il caso in cui le aziende richiedono ai dipendenti lo svolgimento di un orario di lavoro inferiore a quanto effettivamente contenuto nel contratto di assunzione. Situazioni, questi, che incidono sui contributi e premi assicurativi da versare, che devono essere comunque versati in base al cd. minimale contributivo.

Infatti, si tratta di importi riguardanti periodi in cui i dipendenti non abbiano prestato alcuna attività lavorativa a causa di un accordo stretto con il titolare e, di conseguenza, per un determinato arco di tempo hanno lavorato per meno ore di quelle previste dal normale orario indicato nel CCNL e nelle rispettive lettere di assunzione.

A questa conclusione giungono i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15120 del 3 giugno 2019. Nel caso di specie, il datore di lavoro era intento a ottenere l’illegittimità ed inefficacia del verbale di accertamento notificatogli dagli ispettori dell’INAIL, che avevano rilevato l’omesso versamento di premi relativamente a periodi di assenza dal lavoro dei dipendenti dovute per ferie, malattia ed altre ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo di sospensione dell’attività lavorativa.

I giudici di merito rigettavano il ricorso proposto dalla società, specificando che le assenze dal lavoro non contrattualmente giustificate non esonerano il datore di lavoro stesso dal pagamento del premio sulla retribuzione cd. contributiva, che resta insensibile alla retribuzione di fatto erogata, fatta eccezione per l’ipotesi in cui quest’ultima sia superiore.

Contro la pronuncia della Corte d’Appello, ricorreva il datore di lavoro per Cassazione.

Minimale contributivo e orario minimo, la disciplina

Ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 338/1989, deve essere garantito al lavoratore un minimale contributivo direttamente parametrato sulla retribuzione “virtuale” stabilita dalla contrattazione collettiva maggiormente rappresentativa. Tale garanzia contributiva, contrariamente a quanto dedotto dall’impresa, non opera solo ai fini del minimo salariale applicato (rispettato nel caso specifico), ma anche in riferimento all’orario di lavoro settimanale e alla connessa retribuzione che rappresenta la base imponibile previdenziale sia ai fini INPS sia a quelli INAIL.

Minimale contributivo e orario minimo, quando si può derogare?

I contributi possono essere versati su un orario inferiore a quello normale stabilito dal CCNL e dal contratto solo in caso di assenze tutelate dalla legge, come malattia, infortuni, aspettative o riduzioni orarie tipizzate come la cassa integrazione.

Sul punto, puntualizza la Corte di Cassazione, non sussiste una generale libertà delle parti (lavoratori e imprese) a rimodulare, insieme all’orario effettivo di lavoro, anche l’obbligazione contributiva, indisponibile alla loro volontà, salvo i casi appena citati o un regolare contratto di part-time.

In definitiva, gli ermellini hanno respinto il ricorso dell’imprenditore confermando la legittimità da parte dell’INAIL di richiedere la differenza dei contributi non versati rispetto all’orario di lavoro contrattuale pieno, sottolineando l’esistenza di un doppio binario fra il rapporto retributivo e quello contributivo, a maggiore tutela del dipendente e delle sue assicurazioni previdenziali e assistenziali.

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