La Corte di Cassazione affronta un importante principio in materia fallimentare, ribadendo l’interpretazione non formalistica dell’onere probatorio a carico del debitore. La pronuncia - ordinanza n. 10576 del 2025 - chiarisce che il mancato deposito dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi non è, di per sé, causa sufficiente per considerare non assolto tale onere.
Una società in liquidazione ha impugnato la sentenza con cui era stato dichiarato il suo fallimento, pronunciata dal Tribunale di Monza a seguito del ricorso presentato da un creditore nel 2019. Il motivo principale dell'opposizione era l’assenza dei requisiti soggettivi previsti dall’art. 1, secondo comma, della legge fallimentare, ritenendo che tali soglie non fossero state superate.
La Corte d’Appello di Milano, nel pronunciarsi con la decisione successivamente impugnata, ha rigettato il reclamo della società. I giudici hanno motivato il rigetto affermando che l’onere della prova non era stato soddisfatto, in quanto i bilanci non erano più stati depositati a partire dalla messa in liquidazione della società avvenuta nel 2011.
La Corte ha ritenuto che lo stato di liquidazione non esonerasse la società dall’obbligo di redazione e deposito dei bilanci presso il Registro delle Imprese. Pertanto, i documenti contabili prodotti, ossia gli “stati patrimoniali” riferiti agli anni 2012-2019, sono stati considerati inidonei a dimostrare la mancata esistenza delle condizioni per il fallimento.
Avverso questa sentenza la società ha presentato ricorso per cassazione, articolato in un solo motivo, mentre il fallimento e il creditore intimato non si sono costituiti in giudizio.
L’articolo 1 della Legge Fallimentare stabilisce chi può essere assoggettato alla procedura di fallimento o al concordato preventivo.
In linea generale, tali procedure si applicano agli imprenditori che svolgono attività commerciale, con l’esclusione degli enti pubblici.
Tuttavia, vi sono delle esenzioni: se l’imprenditore riesce a dimostrare di rispettare tutti e tre i seguenti parametri economici, allora non è soggetto né a fallimento né a concordato preventivo.
Inoltre, questi limiti quantitativi possono essere aggiornati ogni tre anni tramite decreto del Ministero della Giustizia, tenendo conto delle variazioni medie degli indici ISTAT relativi ai prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
Con l’unico motivo presentato, la società ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile, un’errata interpretazione e applicazione degli articoli 1, 15 e 18 della Legge Fallimentare. In particolare, viene contestato il fatto che la sentenza impugnata abbia ritenuto non dimostrata la mancata sussistenza dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 1 della legge fallimentare, solamente perché non sono stati depositati i bilanci degli ultimi tre anni.
Secondo la ricorrente, l’obbligo probatorio che grava sul debitore può essere soddisfatto anche mediante altri tipi di documentazione, e non esclusivamente attraverso i bilanci depositati presso il Registro delle Imprese. Sebbene questi ultimi rappresentino una fonte privilegiata, non possono essere considerati l’unico strumento valido per provare l’assenza delle condizioni per l’assoggettamento a fallimento.
La società ha inoltre precisato di aver fornito altri elementi contabili – tra cui i prospetti patrimoniali dal 2011 al 2019 e il conto economico relativo all’anno 2011 – che sarebbero stati sufficienti a dimostrare l’insussistenza dei presupposti soggettivi per il fallimento.
Tali documenti metterebbero in evidenza, sia sotto il profilo dell’attivo e dei ricavi, sia dell’indebitamento, l’assenza di movimentazioni contabili dalla data di messa in liquidazione, risalente al 2011, e dunque l’inesistenza delle condizioni necessarie per dichiarare il fallimento.
Il ricorso presentato è stato ritenuto fondato dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 10576 pronunciata il 23 aprile 2025.
A supporto di ciò, la giurisprudenza ha riconosciuto che il debitore può far valere altri strumenti documentali, tra cui le scritture contabili aziendali oppure documenti redatti da soggetti terzi o dallo stesso imprenditore, purché in grado di restituire una fotografia fedele della situazione patrimoniale ed economica dell’impresa. Tali evidenze sono quindi da considerarsi alternative valide alla presentazione dei bilanci ufficiali (Cass. n. 24138/2019).
Diversamente, la mancata presentazione dei bilanci nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, pur essendo rilevante solo ai fini dell’obbligo di consegna al curatore ex art. 86 l. fall., non può essere considerata sufficiente per affermare che il debitore non abbia assolto all’onere probatorio sulle soglie dimensionali. Tale omissione, infatti, non ha una valenza sanzionatoria secondo la logica dell’ordinamento (Cass. n. 30541/2018).
Pertanto, il giudice di merito è tenuto a valutare con attenzione la documentazione fornita dal debitore, anche se diversa dai bilanci depositati, per stabilire l’eventuale esclusione dalla soggezione al fallimento secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, della Legge Fallimentare.
Nel caso in esame, la Corte ha rilevato che la sentenza impugnata si è soffermata esclusivamente sulla mancata presentazione dei bilanci da parte della società, senza però considerare, ai fini della verifica dell’onere probatorio, gli altri documenti contabili messi a disposizione dal debitore. Tale approccio è stato ritenuto non conforme ai principi giuridici già affermati dalla stessa giurisprudenza.
Di conseguenza, la Suprema Corte ha deciso di accogliere il ricorso, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’Appello, affinché proceda a una nuova valutazione.
In particolare, il giudice del rinvio dovrà esaminare la documentazione alternativa presentata dalla società per stabilire se siano stati soddisfatti i requisiti richiesti dall’art. 1, comma 2, della Legge Fallimentare.
Alla Corte d’Appello spetterà inoltre occuparsi della determinazione delle spese legali relative al giudizio di legittimità.
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