Fallimento datore: ammissione al passivo per intero credito retributivo

Pubblicato il 04 settembre 2020

In che modo vanno operati, in sede fallimentare, l’accertamento e la liquidazione del credito spettante al lavoratore per differenze retributive? Le precisazioni della Corte di cassazione.

Le operazioni di accertamento e di liquidazione del credito del dipendente devono essere effettuati al lordo delle ritenute fiscali e della parte delle ritenute previdenziali gravanti sul lavoratore nei casi in cui il datore non abbia tempestivamente adempiuto all’obbligo di versamento contributivo.

In detta ipotesi, infatti, la quota gravante sul lavoratore resta a carico del datore posto che, se quest’ultimo corrisponde tempestivamente all’ente di previdenza la quota contributiva a carico del dipendente, può legittimamente operare la relativa trattenuta sulla retribuzione.

Diversamente, se il datore di lavoro non corrisponde con tempestività tale quota contributiva, la stessa rimane definitivamente a suo carico, con la conseguenza che il lavoratore rimane liberato dall’obbligazione contributiva per la quota a suo carico e il suo credito retributivo si espande fino a comprendere tale quota.

Ne discende, in sede fallimentare, che l’intero credito segue nell’ordine dei privilegi la natura retributiva che gli è propria.

Il datore non adempie all’obbligo contributivo pro quota del lavoratore? Credito resta a suo carico

E’ quanto ribadito dalla Corte di cassazione nel testo della ordinanza n. 18333 del 3 settembre 2020, nella quale è stato richiamato il precedente arresto di legittimità di cui alla sentenza n. 23426/2016.

Nel caso in esame, la Suprema corte ha accolto le doglianze del ricorrente, ex dipendente di una Srl in bonis, contro la decisione con cui, nel merito, era stato statuito sulla sua istanza di ammissione al passivo, in via privilegiata, del fallimento della società presso cui aveva lavorato.

Il Tribunale, in particolare, aveva ammesso al passivo solo l’importo dovuto per le retribuzioni non corrisposte ma non la quota dei contributi previdenziali a carico del lavoratore, sostenendo che per quel medesimo credito vi fosse il rischio di una duplice insinuazione al passivo del fallimento, ossia da parte del lavoratore e da parte dell’INPS.

Rischio, tuttavia, che gli Ermellini hanno escluso in radice spiegando che ove, come sopra detto, il datore non abbia provveduto al tempestivo versamento della quota trattenuta sulla retribuzione del dipendente, viene meno l’obbligo contributivo pro quota del lavoratore e, quindi, il credito di questi assume interamente natura retributiva.

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