Fallimento: anche la Cassazione può revocarlo e addebitare le spese

Pubblicato il 07 novembre 2022

Sì alla revoca della sentenza di fallimento da parte della Corte di cassazione (e non solo della Corte d'appello) con individuazione del soggetto cui sia imputabile l'apertura della procedura concorsuale ai fini di addebito delle spese.

Questo alla luce del nuovo Codice della crisi e salvo che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Con ordinanza n. 32533 del 4 novembre 2022, la Suprema corte ha accolto il ricorso promosso da una Scrl in liquidazione contro la decisione della Corte d'appello confermativa della dichiarazione del relativo stato di insolvenza nonché di rigetto dell'eccezione di nullità radicale della sentenza di fallimento.

La ricorrente, tra i motivi, aveva ribadito la nullità della sentenza di fallimento per difetto di legittimazione del creditore istante.

Sul punto, aveva rammentato il principio già enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il fideiussore, per essere legittimato a proporre istanza di fallimento, deve aver provveduto al pagamento.

Nella vicenda in esame, ciò posto, il fideiussore non solo non aveva versato l'importo dallo stesso dovuto, ma aveva agito in giudizio per far dichiarare l'inefficacia della garanzia dallo stesso prestata: ne discendeva il difetto di legittimazione del medesimo a presentare l'istanza di fallimento.

Cassazione e revoca del fallimento, condizioni

La Cassazione, nell'accogliere tale doglianza e, contestualmente, il ricorso avverso la sentenza di secondo grado, ha anche fornito precisazioni in ordine a quanto sancito dal nuovo Codice della crisi (D. Lgs. n. 14/2019) nonché dal novellato art. 147 del TU spese di giustizia, in tema di revoca della sentenza di fallimento.

Il menzionato art. 147 ha previsto, in particolare, che la Corte d'appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, deve accertare se l'apertura della procedura sia imputabile al creditore o al debitore.

Tale verifica - hanno sottolineato gli Ermellini - può essere parimenti svolta, unitamente alla conseguente declaratoria di revoca della sentenza di fallimento, anche dalla Corte di cassazione laddove accolga il ricorso avverso la sentenza del giudice del reclamo che abbia erroneamente, sul punto, confermato la sentenza di fallimento.

Questo, tuttavia, sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, secondo la previsione di indispensabile completezza presupposta dall'art. 384, comma 3, c.p.c

Per contro, nell'ipotesi in cui tali accertamenti risultino necessari, la Cassazione deve necessariamente demandare al giudice di rinvio anche la possibile declaratoria di revoca del fallimento e l'individuazione del soggetto cui sia imputabile l'apertura revocanda della procedura.

Da qui l'enunciazione del seguente principio di diritto.

"La Corte di cassazione, in sede di accoglimento del ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello che abbia rigettato il reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa di fallimento, può direttamente revocare tale dichiarazione e così provvedere a norma dell’articolo 147 T.U. Spese di giustizia, come novellato dall’articolo 366 CCII (per come già vigente anche per i giudizi introdotti ex articolo 18 legge fall.), sull’imputabilità dell’apertura della procedura ai fini dell’addebito delle relative spese, sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, dovendo invece, per tale ipotesi, disporre la cassazione con rinvio al giudice di merito".

NOVITA': La Corte di cassazione, in definitiva, può direttamente revocare la dichiarazione di fallimento e così provvedere sull'imputabilità dell'apertura della procedura ai fini dell'addebito delle relative spese, purché non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Poiché, nella vicenda in esame, era emersa la necessità di procedere ad ulteriori accertamenti di fatto, non sussistevano i presupposti per provvedere nel merito e si doveva cassare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello, in diversa composizione.

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