False co.co.co., sanzione estendibile anche alla conversione del rapporto

Pubblicato il 11 ottobre 2019

In caso di false co.co.co., ossia stipulate in assenza degli elementi tipici e essenziali che contraddistinguono il rapporto di collaborazione, il datore di lavoro non è unicamente soggetto all’indennità risarcitoria tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto calcolata ai fini del TFR. Infatti, non è precluso il diritto del lavoratore di avanzare richiesta di conversione del rapporto in uno di tipo subordinato e indeterminato.

Così hanno deciso i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25582 del 10 ottobre 2019, risolvendo il contrasto giurisprudenziale emerso in merito all’art. 50 della L. n. 183/2010 (cd. “Collegato Lavoro”).

False co.co.co., il “Collegato Lavoro”

L’art. 50 della L. n. 183/2010 prevede che, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di co.co.co., anche se riconducibili a un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto, alternativamente:

è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della L. n. 604/1966.

False co.co.co., precedente orientamento giurisprudenziale

Secondo gli indirizzi giurisprudenziali finora espressi, la misura risarcitoria costituisce l’unico rimedio cui il lavoratore ha diritto per effetto della sentenza che accerta la natura subordinata di una co.co.co non genuina, se ha in precedenza rifiutato la stabilizzazione del rapporto spontaneamente offerta dal datore di lavoro.

False co.co.co., conversione sempre possibile

I giudici della Suprema Corte respingono la predetta interpretazione. Secondo gli ermellini, l’indennità ricompresa tra 2,5 e sei mensilità incide “unicamente” sul risarcimento a cui il lavoratore ha diritto, che va dal periodo ricompreso tra l’ingiustificata estromissione dal fittizio rapporto di collaborazione e la data della sentenza che ne abbia accertato la natura subordinata.

Dunque, affermano i giudici di legittimità, l’art. 50 del Collegato Lavoro non può essere inteso nel senso di escludere la conversione del rapporto di collaborazione in un rapporto subordinato a tempo indeterminato, né di inibire il risarcimento del danno ulteriore successivo alla sentenza. Infatti, se così non fosse, si produrrebbe la lesione dei principi costituzionali della effettività e adeguatezza delle sanzioni riconnesse alla violazione di norme inderogabili in materia di lavoro.

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