Il Legislatore disciplina il “Finanziamento dei soci” ai sensi dell’articolo 2467 del Codice civile, individuando due specifiche situazioni regolamentate:
In tali circostanze il rimborso del finanziamento dei soci a favore della società, “in qualsiasi forma effettuati”, è “postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori”.
Sebbene espressamente previsto dal Codice civile, tale istituto incontra un limite nella sua applicazione, in quanto la sua effettuazione è subordinata alla previsione nell’atto costitutivo o nello statuto della società beneficiaria.
I versamenti effettuati dai soci a favore della società, indipendentemente dall’entità della quota detenuta, possono essere distinti in due categorie:
Qualora dalle scritture contabili non sia possibile determinare in modo inequivocabile la natura del versamento, lo stesso sarà considerato come un finanziamento concesso dai soci alla società, con tutte le conseguenze connesse alla remunerazione delle somme prestate.
Il finanziamento effettuato dai soci di una società a responsabilità limitata è disciplinato dall'articolo 2467 del Codice civile. In particolare, il primo comma di tale articolo stabilisce che il rimborso delle somme versate venga subordinato alla soddisfazione degli altri creditori. Tale disposizione si applica ogniqualvolta il finanziamento da parte del socio venga effettuato “in un momento in cui, anche in considerazione dell'attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto; in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.
È noto che, nel contesto imprenditoriale italiano, è diffuso il fenomeno delle cosiddette società sottocapitalizzate, ossia quelle in cui i soci, anziché procedere con gli indispensabili aumenti di capitale per finanziare l’impresa, effettuano versamenti configurabili come veri e propri finanziamenti (ad esempio sotto forma di mutui). In tal modo, assumono una posizione analoga a quella dei creditori sociali, permettendo alla società di dotarsi di capitale di debito anziché di mezzi propri.
Per contrastare tale pratica, la riforma del diritto societario del 2003 ha introdotto l’articolo 2467 del codice civile e il principio della postergazione. Postergare il rimborso dei finanziamenti concessi dai soci significa sostanzialmente rinviare la soddisfazione di tali crediti: in concreto, i crediti vantati dai soci saranno soddisfatti solo dopo aver adempiuto agli obblighi verso gli altri creditori non postergati.
La norma prevede, inoltre, che il rimborso del finanziamento del socio, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Quest'ultima parte risulta essere stata abrogata dall'art. 383 del Dlgs. 12 gennaio 2019, n. 14, in vigore dal 1° settembre 2021.
Il finanziamento erogato dal socio con l’obiettivo di favorire il superamento della crisi, limitatamente all’ottanta per cento del suo ammontare, viene qualificato come credito prededucibile, sottraendosi così alla normale postergazione e alterando l’ordine di priorità nel rimborso dei crediti. Il restante venti per cento del finanziamento continua invece a essere disciplinato dalle norme ordinarie.
Analogo trattamento sarà riconosciuto, per l’intero importo del finanziamento concesso ai sensi dell’articolo 102 del medesimo Decreto Legislativo, al finanziatore che abbia acquisito la qualifica di socio di società a responsabilità limitata in esecuzione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti: “In deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il beneficio della prededuzione previsto agli articoli 99 e 101 si applica ai finanziamenti erogati dai soci in qualsiasi forma, inclusa l'emissione di garanzie e controgaranzie, fino all'ottanta per cento del loro ammontare.
Il medesimo beneficio opera per l'intero ammontare dei finanziamenti qualora il finanziatore abbia acquisito la qualità di socio in esecuzione del concordato preventivo”.
È evidente che l’agevolazione concessa ha l’obiettivo di incentivare potenziali finanziatori e soci a effettuare versamenti nelle casse sociali, operazioni altrimenti difficilmente realizzabili, con la finalità di favorire una soluzione della crisi, garantendo a tali esborsi il beneficio dell’istituto della prededucibilità. I versamenti in questione sono esclusi da tale agevolazione qualora vengano posti in essere comportamenti fraudolenti o forniti dati e informazioni falsi, purché il curatore dimostri che il soggetto finanziatore fosse consapevole di tali circostanze.
Parzialmente escluse da questa previsione normativa sono le erogazioni effettuate ai sensi degli articoli 99 e 101 del Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14. L’articolo 102, comma primo, stabilisce infatti che i finanziamenti autorizzati dal Tribunale prima dell’omologazione del concordato preventivo o della ristrutturazione dei debiti, nonché quelli eseguiti in attuazione di tali istituti, beneficiano della prededuzione prevista dagli articoli 99 e 101 nella misura dell’80% del loro ammontare.
Un trattamento analogo si applica ai versamenti effettuati dai soci quando la società è in uno stato di regolare funzionamento e priva di squilibri finanziari. In ogni caso, è sempre consigliabile adottare criteri precisi e univoci per identificare i finanziamenti che nel tempo dovessero essere effettuati dai soci. Una qualificazione errata o non rigorosa dei versamenti potrebbe infatti dar luogo a contestazioni riguardanti il mancato rispetto della postergazione.
Risulta pertanto chiaro che per qualificare un versamento come un vero e proprio finanziamento soci non sia sufficiente inserirlo nel passivo di bilancio alla voce prevista dall’articolo 2424 “debiti verso soci per finanziamenti” e annotarlo nella corrispondente sezione della nota integrativa al bilancio. Potrebbe essere necessario interpretare anche la volontà negoziale effettiva delle parti coinvolte, ad esempio verificando le causali impiegate per i versamenti o eventuali scritture private o quietanze integrative che attestino la finalità concretamente perseguita dai soci.
Finanziamenti per crisi di liquidità
Nel corso della vita aziendale, non è raro che si verifichino temporanee crisi di liquidità dovute a diverse cause, richiedendo il reperimento di una certa somma di denaro. Spesso tali situazioni derivano da un mancato sincronismo tra incassi e pagamenti; in questi casi, l’organo amministrativo, anziché ricorrere a forme di finanziamento onerose, può, qualora sussistano i presupposti necessari, invitare i soci o alcuni di essi a effettuare un versamento nelle casse sociali.
È importante sottolineare che tali versamenti non saranno soggetti al vincolo della postergazione, poiché la fattispecie non soddisfa i requisiti normativi previsti. Tuttavia, è fondamentale che questo tipo di finanziamento sia caratterizzato dalla volontà esplicita del socio di effettuare un versamento temporaneo e infruttifero di interessi nelle casse sociali. Inoltre, trattandosi di un finanziamento e non di un contributo a fondo perduto, deve essere previsto l’obbligo di restituzione. A tal fine, si consiglia di indicare nella causale del bonifico effettuato dal socio alla società la dicitura: «versamento infruttifero di interessi con obbligo di restituzione». In questo modo, oltre a chiarire l’obbligo di restituzione, si evita qualsiasi contestazione relativa alla fruttuosità del prestito.
Prove documentali dell’infruttuosità del finanziamento
Per supportare la tesi relativa all’infruttuosità del finanziamento, è indispensabile fornire prove documentali proporzionate all’entità della somma erogata. A tal fine, può rendersi necessaria la redazione di una scrittura privata o di un atto pubblico che certifichi esplicitamente la gratuità del finanziamento, oppure una delibera dell’organo amministrativo che autorizzi il prestito infruttifero.
Per importi contenuti, è possibile che risulti sufficiente una causale precisa nel bonifico bancario indicante “finanziamento infruttifero”. Ulteriori elementi probatori possono essere costituiti dalla corrispondenza scritta tra le parti con data certa e dall’annotazione in bilancio sotto la voce “Debiti verso soci per finanziamenti infruttiferi”, a conferma della natura del prestito.
Requisiti giurisprudenziali
La giurisprudenza della Corte di Cassazione stabilisce che, affinché un finanziamento da parte del socio sia correttamente qualificato come infruttifero e opponibile all’Amministrazione finanziaria, sono necessari specifici requisiti formali:
NOTA BENE: La prova riguarda strettamente il momento della concessione del finanziamento e non quello della sua restituzione, che in alcuni casi può avvenire con tempi prolungati, subordinatamente alla disponibilità delle risorse liquide aziendali.
Al contrario, i finanziamenti fruttiferi da parte dei soci consistono in prestiti erogati alla società con obbligo di restituzione del capitale maggiorato degli interessi calcolati su un tasso predeterminato. Tale tipologia si configura come un debito assimilabile a un prestito bancario ma caratterizzata da potenziali tassi di interesse più contenuti e da una gestione più flessibile rispetto a mutui tradizionali. La natura “fruttifera” implica quindi che il prestito generi un rendimento economico per il socio finanziatore.
La disciplina fiscale applicabile agli interessi derivanti dai finanziamenti soci varia in funzione della natura (fruttifera o infruttifera) e della qualifica del socio percettore:
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