“Giudice omofobo” Non è diffamazione

Pubblicato il 28 giugno 2016

Ampio diritto di critica giudiziaria

Il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, non solo perché la cronaca e la critica possono essere tanto più larghe e penetranti, quanto più larga è la posizione dell’homo publicus oggetto di censura e più incisivi i provvedimenti che può adottare. Ma anche perché la critica è l’unico reale ed efficace strumento di controllo democratico dell'esercizio di una rilevante attività istituzionale che viene esercitata in nome del popolo italiano, da persone che, a garanzia della fondamentale libertà di decisione, godono di ampia autonomia ed indipendenza.

Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso di un componente dell’Associazione gay e lesbica, condannato per diffamazione verso un magistrato, che aveva apostrofato come omofobo, con l’aggravante di aver impiegato internet per la divulgazione del suo scritto offensivo.

Fatto

Detta pronuncia giunge ad esito di una complessa vicenda, collegata ad un procedimento penale istruito dal magistrato persona offesa nel presente processo, nei confronti di un’insegnante imputata di aver abusato dei mezzi di correzione verso un alunno, per averlo costretto a scrivere cento volte “sono un deficiente”, in quanto aveva dato del “gay” ad un compagno.

La donna era stata assolta ed il magistrato in questione aveva interposto appello in cui scriveva, tra l’altro, che i metodi educativi impiegati dall'insegnante erano paragonabili a quelli della rivoluzione culturale maoista e che era costume dei giovani apostrofarsi reciprocamente (spesso per scherzo) con espressioni omofobiche. Abitudine non commendevole ma largamente diffusa e tollerata dalla società.

A questo punto era intervenuta l’Associazione omosessuale, che aveva pubblicato nel proprio sito parole presunte offensive nei confronti del magistrato, accusandolo di grettezza, omofobia e misoginia. E per questo era stata condannata per diffamazione.

Condanna tuttavia respinta dalla Corte Suprema, che con sentenza n. 26745 del 27 giugno 2016, ha evidenziato come i giudici distrettuali non abbiano invero tenuto conto del prevalente criterio interpretativo, che ribadisce i caratteri di estensione e profondità inerenti il diritto di critica giudiziaria. Avendo, oltretutto, limitato il proprio giudizio solo su una parte dello scritto ritenuto diffamante. 

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