Giudizio direttissimo, piena garanzia per il diritto di difesa

Pubblicato il 05 dicembre 2022

Con sentenza n. 243 del 2 dicembre 2022, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8, del Codice di procedura penale, per come interpretati dalla giurisprudenza prevalente.

Secondo tale consolidata lettura, la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo precluderebbe all’imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p.

Sono state accolte, sul punto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Firenze, tenuto a pronunciarsi, nella specie, sulla richiesta di patteggiamento avanzata da un imputato, dopo che questi, in esito all’udienza di convalida, aveva ottenuto il termine a difesa di cui all’art. 558, comma 7, c.p.p., previsto nel giudizio direttissimo dinnanzi al tribunale in composizione monocratica.

Per il giudice rimettente, l’accoglimento di tale richiesta era tuttavia impedito dalla richiamata lettura giurisprudenziale, secondo cui, come detto, la concessione del termine a difesa - previsto dalle disposizioni censurate senza apprezzabili differenze tra i due riti - comporterebbe l’apertura del dibattimento, con conseguente preclusione della possibilità di richiedere il giudizio abbreviato e l’applicazione della pena su richiesta.

Processo per direttissima e termine a difesa

La Corte costituzionale ha ritenuto fondati i rilievi sollevati in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dopo aver richiamato il complesso quadro normativo e giurisprudenziale nel quale si collocano le disposizioni censurate.

Nel caso del processo per direttissima - si legge nel testo della decisione -  la scelta dell’imputato di accedere a uno dei riti speciali previsti dalle richiamate disposizioni va raccordata con la disciplina particolarmente serrata dei tempi di instaurazione del giudizio, senza che ciò possa comportare il sacrificio delle essenziali esigenze difensive dell’imputato sull’altare della speditezza dei tempi processuali.

La scelta del rito, ciò posto, non deve necessariamente avvenire "seduta stante e incognita causa", vale a dire senza un’adeguata ponderazione delle implicazioni che derivano da tale strategia processuale.

Il giudice, in vero, laddove l’imputato ne faccia richiesta, è tenuto a concedere il termine sia in vista dell’approntamento della migliore difesa nella prosecuzione della fase dibattimentale, sia in funzione di un esercizio consapevole della scelta sull’accesso al giudizio abbreviato e all’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.

La necessità di una piena garanzia del diritto di difesa - conclude infatti la Corte - vale "a maggior ragione in un rito, quello direttissimo, segnato da un rapido avvicendamento delle fasi processuali".

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