I giudici penali, per emettere condanna, devono accertare la colpevolezza dell’imputato

Pubblicato il 07 giugno 2010 La Corte di cassazione, sezione penale, con sentenza n. 19933 del 2010 rammenta come l’ordinamento italiano sia improntato ad assicurare al presunto colpevole tutta una serie di garanzie processuali. Primo fra tutti vige il principio per cui i giudici possono pronunciare sentenza di condanna solo qualora si accerti al colpevolezza del reo “oltre ogni ragionevole dubbio”, il che sta a significare che deve sussistere la piena certezza che il fatto commesso, costituente reato, sia attribuibile all’imputato come fatto proprio, “pur esistendo eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui concreta realizzazione nella fattispecie non trova il benché minimo riscontro..”.

Secondariamente l’accertamento a cui sono chiamati i giudici impone che gli indizi probatori, sui quali si basa la condanna, siano dapprima valutati nella loro valenza qualitativa e nella loro coordinazione logica in modo singolo e poi globalmente per metterne in risalto il loro collegamento nel contesto reale. Nel caso affrontato dalla Corte di cassazione si è riscontrato che i giudici di secondo grado avevano pronunciato condanna in ossequio a tutti i criteri di garanzia processuale vigenti nell’ordinamento.
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