I questionari ai clienti non sono prove testimoniali ma assumono il valore di elementi presuntivi

Pubblicato il 03 novembre 2010 La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22122 del 29 ottobre 2010, ha affermato che l’uso dei questionari compilati dai clienti di un’azienda e tramite i quali il Fisco ricostruisce un diverso volume d’affari rispetto al dichiarato, rappresenta una prova sufficiente ai fini dell’accertamento induttivo.

L’agenzia delle Entrate, usando tale strumento, non viola perciò il divieto di prova testimoniale nel processo tributario come previsto dall’articolo 7 del Decreto legislativo n. 546/1992, a patto che i giudici non abbiano attribuito ai suddetti questionari tale “valore”, ma li abbiano considerati solo elementi presuntivi idonei a suffragare la pretesa fiscale dell’Ufficio.

I questionari, come tutte le altre dichiarazioni dei soggetti terzi raccolte dal Fisco devono dunque avere il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e se assumono carattere di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni utilizzabili dal giudice tributario per giungere alla formulazione del suo convincimento. Con la stessa pronuncia, i giudici della Suprema Corte hanno anche sottolineato che i soci di società di persone, se hanno dichiarato un reddito inferiore a quello poi corretto dal Fisco, dovranno non solo pagare la maggiore Irpef, ma anche le sanzioni per dichiarazione infedele.
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