Il concorso dell’illecito amministrativo con l’illecito penale: principio di specialità e orientamenti della giurisprudenza di legittimità

Pubblicato il 31 gennaio 2014

Tizio, a seguito di licenziamento, è percettore di indennità di disoccupazione (ora ASPI). Nel corso di tale trattamento Tizio svolge prestazione di lavoro in nero per conto dell’impresa Gamma. Nel corso di alcune verifiche di competenza, gli ispettori della DTL accertano i fatti sopra descritti. Quali conseguenze ci si possono attendere dagli atti che verranno adottati dagli ispettori?




Premessa

La L. n. 689/81, sul modello del codice penale, ma con differenze non trascurabili, contiene previsioni volte a mitigare e concentrare in un unico organo l’irrogazione delle sanzioni nell’ipotesi in cui venga accertata la commissione, da parte del medesimo soggetto, di plurimi illeciti. La disciplina è racchiusa nelle disposizioni di chiusura del capo I, sezione I, dedicata ai principi generali e, come recita l’art. 12 della medesima legge, è applicabile, non già alle violazioni disciplinari ma, “salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale”. In particolare gli istituti del concorso apparente di norme e del concorso formale e materiale di illeciti costituiscono tra i temi più dibattuti e controversi della scienza penale, le cui soluzioni sono infatti strettamente influenzate dalla concezione del reato e della pena. Sicché, senza pretesa di esaustività e con la consapevolezza che gli argomenti di seguito esposti sono tutt’altro che pacifici, si cercherà di illustrare i principali indirizzi formulati in materia.


Il concorso apparente di norme

Si ha concorso di illeciti allorché un medesimo soggetto viola più precetti normativi e quindi commette più illeciti. La pluralità delle violazioni è l’elemento che accomuna il concorso formale e il concorso materiale di illeciti e l’illecito continuato e che a sua volta distingue tali istituti dal concorso apparente di norme.

L’analisi pertanto non può che iniziare dal concorso apparente di norme.

Vi sono ipotesi, infatti, in cui la condotta solo apparentemente integra più precetti, ma in realtà l’illecito commesso è unico perché una sola è la norma violata. I presupposti del concorso apparente di norme consistono pertanto nell’unicità della condotta e nella pluralità di norma entro cui tale condotta appare sussumibile.


Il principio di specialità

Il criterio utilizzato per risolvere il concorso apparente di norme è il principio di specialità positivizzato all’art. 15 c.p.. Recita la norma che “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. In sostanza, la disposizione speciale prevale su quella generale secondo il noto brocardo lex specialis derogat generali.

Si definisce norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante.

Pertanto, in base allo schema logico formale che informa il principio di specialità, ove tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie sono contenuti in un’altra fattispecie, la quale, rispetto alla prima, contiene ulteriori elementi specializzanti, allora il fatto deve essere sussunto solamente in quest’ultima fattispecie.

  1. Specialità unilaterale

Tale modello viene definito specialità unilaterale, perché quest’ultima riguarda solo una delle due fattispecie confrontate, sicché se la fattispecie speciale venisse eliminata il fatto ricadrebbe nell’ipotesi generale.

La specialità unilaterale può assumere il carattere di specificazione o di aggiunta, a seconda che la fattispecie speciale rispettivamente specifichi gli elementi già contenuti nella fattispecie generale ovvero aggiunga ad essa ulteriori elementi.

La questione diventa assai più problematica nel caso di specialità bilaterale o reciproca.

  1. Specialità bilaterale

Premesso che la valenza di una tale categoria è contestata da autorevole dottrina, la specialità bilaterale si verificherebbe quando nessuna delle norme poste a confronto può definirsi generale o speciale, perché entrambe le fattispecie presentano, accanto a un nucleo di elementi comuni, degli elementi reciprocamente specializzanti. In tal caso infatti resta difficile applicare il principio di specialità perché non è logicamente individuabile quale fattispecie sia generale e quale invece sia speciale. Per superare l’impasse è stata proposta l’applicazione del criterio di sussidiarietà ovvero quello di consunzione che, tuttavia è bene osservare, non hanno fondamento normativo, bensì logico, e si basano essenzialmente su giudizi di valore.


Il criterio di sussunzione e il criterio di assorbimento

Il criterio di sussidiarietà ricorre allorché vi siano norme che prevedono diversi gradi di offesa del medesimo bene giuridico. Sicché l’offesa maggiore assorbe la minore, con la conseguenza che nei confronti dell’autore del fatto dovrebbe essere applicata unicamente la norma che contiene un maggiore disvalore del bene tutelato.

Il criterio di consunzione o assorbimento postula la commissione di un illecito quale conseguenza inevitabile della realizzazione di altro illecito. La relazione tra gli illeciti non richiede la lesione a un medesimo bene giuridico che può anche essere differente, perché ciò che accumuna le fattispecie è lo scopo della norma violata. In tal caso la norma che prevede un reato minore viene chiaramente assorbita da quella relativa a un reato più grave, che esaurisce l’intero disvalore del fatto, onde evitare una duplicità di tutela e di sanzione.

Sennonché le SS.UU. nel 2005 hanno censurato l’applicazione di simili criteri atteso che “i giudizi di valore che i criteri di assorbimento e di consunzione richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l’applicazione di una norma penale”.

La giurisprudenza successiva non si è tuttavia uniformata a tale indirizzo e si registrano tuttora orientamenti oscillanti nel senso che, a fronte di prevalenti sentenze che applicano tali criteri, si catalogano statuizioni che invece risolvono il concorso apparente di norme applicando il solo principio di specialità.


Il recente orientamento delle SS.UU. della Cassazione penale

Orbene a fronte del perdurare del contrasto le stesse SS.UU. penali sia nel 2011 sia nel 2012 sono intervenute per ribadire quanto già osservato nel 2005, affermando che l’unico criterio normativamente certo per risolvere il concorso apparente di norme è quello di specialità, inteso nel senso che il confronto debba essere effettuato tra fattispecie astratte, mediante la comparazione dei rispettivi elementi costitutivi. Ciò in quanto, come già affermato con precedente sentenza n. 16568 del 19/04/2007, con l’espressione normativa “stessa materia”, contenuta nella disposizione in commento “si intende la stessa fattispecie astratta”, essendo pertanto estranea ogni allusione al criterio dei beni tutelati.


Il principio di specialità nel regime delle sanzioni amministrative

Il principio di specialità coniato per la materia penale è stato trasfuso anche nel settore delle sanzioni amministrative, dal momento che l’art. 9, comma 1, della L. n. 689 cit. prevede che “quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”.

La norma configura una duplice relazione:

  1. il rapporto tra fattispecie amministrativa e fattispecie penale;

  2. il rapporto tra differenti fattispecie amministrative.


Rapporto tra differenti fattispecie amministrative

Alla relazione tra fattispecie amministrative si attagliano le regole come sopra formulate, con l’osservazione che in tale eventualità il criterio basato sul raffronto tra fattispecie astratte è avvalorato dallo stesso disposto normativo che, non a caso, utilizza l’espressione “fatto”. Tale parola secondo la sentenza n. 1963 del 2011 delle SS.UU. deve intendersi nel significato di “[…] fattispecie tipica prevista dalle norme che vengono in considerazione, evitando quella genericità che caratterizza l’art. 15 c.p. con riferimento alla materia”. Pertanto in caso di concorso apparente di norme che disciplinano illeciti amministrativi l’applicazione del principio di specialità non postula un esame sul bene giuridico tutelato o sullo scopo della norma, ma sulla tipicità del fatto e cioè sulle modalità mediante le quali viene descritta la struttura del fatto tipico. Nel recente passato il Ministero del Lavoro sembra avere risolto il concorso apparente di norme ricorrendo al criterio dell’assorbimento. Il riferimento è all’illecito dell’omessa comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro la quale, in caso di lavoratori in nero, risulterebbe “assorbita” nella fattispecie più grave prevista dall’art. 4 della L. n. 183/2010 mediante applicazione della sola maxisanzione.


Rapporto tra fattispecie amministrativa e illecito penale

Anche per quanto riguarda invece la relazione tra fattispecie amministrativa e fattispecie penale occorre applicare i medesimi concetti. Sennonché in tale ambito il panorama è più fluido perché la Suprema Corte di Cassazione nel corso degli anni ha prevalentemente risolto il problema concentrando l’attenzione sulla diversità o meno dei beni giuridici tutelati dalle norme confrontate. Lo stesso Ministero del Lavoro ha applicato tale parametro in ordine all’illecito di occupazione in nero dei cittadini extracomunitari clandestini, fattispecie questa che integra anche reato ai sensi dell’art. 22, comma 12 del D.lgs. n. 286/1998. Nell’occasione il Dicastero ha ritenuto di escludere l’applicazione del principio di specialità optando conseguentemente per l’applicazione della sanzione penale e di quella amministrativa (maxisanzione) sul presupposto della diversità dei beni giuridici tutelati dalle rispettive fattispecie normative.

E tale criterio continua a permeare le decisioni di parte della giurisprudenza di legittimità, anche dopo l’intervento operato dalle SS.UU. nel 2011 e nel 2012, e, soprattutto, sebbene la Corte Costituzionale in più di un’occasione e anche recentemente ha ritenuto che l’applicazione del principio di specialità ex art. 15 c.p. postula “[…] un necessario riferimento alla struttura delle fattispecie, piuttosto che al bene protetto”. Occorre attendere altri pronunciamenti per verificare se l’insegnamento del Giudice delle Leggi abbia ulteriore seguito. Ai fini della soluzione da dare al caso concreto non si può non tenerne conto.


Il caso concreto

Nei fatti risulta che Tizio dopo essere stato licenziato ha fruito del trattamento di disoccupazione (ASPI). Nel corso dell’erogazione dell’indennità, Tizio è stato colto dagli ispettori della DTL a svolgere attività di lavoro per conto dell’impresa Gamma. Sul piano normativo l’art. 115, comma 1, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 conv. con mod. in L. del 6/4/1936 n. 1155 prevede che “chi indebitamente riscuote con alterazioni di dati o con altri modi dolosi l’indennità di disoccupazione è punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 413 a euro 2.478”. La norma contiene una clausola di riserva espressa nel sintagma “salvo che il fatto costituisce resto”. Ciò comporta che in caso di atteggiamento doloso volto con qualunque modalità, e non solo con alterazione dei dati, a riscuotere indebitamente l’indennità debba essere applicata la disciplina penale, con esclusione della sanzione amministrativa. L’ art. 9 della L. n. 689 cit. è una disposizione diretta a privilegiare la specialità di modo che, precisano le SS.UU. con sentenza n. 1963 cit., l’interprete propenda per “[…] l’interpretazione che valorizza la specialità ritenendo la depenalizzazione della condotta in precedenza costituente reato che sia presa in considerazione dalla nuova normativa e, nel caso inverso, optando per la sola ipotesi penalmente sanzionata”. Nel caso di specie l’attività di lavoro di Tizio svolta per Gamma non è stata portata a conoscenza della P.A. è ciò rappresenta una modalità di indebita percezione dell’ASPI. La condotta di Tizio può ritenersi connotata dal dolo generico, perché rientra nelle conoscenze dell’uomo medio il fatto che in corso di trattamento di disoccupazione è preclusa l’attività di lavoro. Difficile giustificare una doppia entrata di denaro: da un lato l’ASPI e dall’altro la retribuzione in nero erogata da Gamma. Sicché può sostenersi che Tizio abbia la rappresentazione e la volontà dell’intero fatto tipico. Altra questione è se Gamma sia correa o meno. Ciò dipende dalla conoscenza da parte di costei dell’erogazione dell’ASPI. Pare comunque possa sostenersi che la condotta di Tizio integri gli estremi della truffa e conseguentemente costituisca reato, con l’ulteriore conseguenza che in applicazione del principio di specialità ricorre un’ipotesi di concorso apparente di norme tra la fattispecie di cui all’art. 640 c.p. e l’art. 115, comma 1, R.D.L. n. 1827 cit. con prevalenza della fattispecie penale, in virtù della clausola di riserva contenuta in quest’ultima disposizione.


NOTE

i Cfr. Fiandaca-Musco “Diritto penale parte generale” Quarta edizione 2001 pagg. 634 e 635.

ii Il criterio è stato applicato per la materia ispettiva nell’ipotesi in cui venga accertato l’illecito di occupazione in nero di manodopera che secondo il Ministero assorbe l’illecito per omessa comunicazione preventiva al servizio per l’Impiego ovvero altra ipotesi in cui il Ministero ha applicato il criterio di assorbimento è in caso di omesse o infedeli registrazioni nel LUL.

iii Cass. pen. Sez. Unite Sent., 20/12/2005, n. 47164.

iv Cass. pen. Sez. II, 21/12/2011, n. 4253; Cass. pen. Sez. VI, 05/05/2011, n. 21351; Cass. pen. Sez. II, 20/12/2011, n. 4284; Cass. pen. Sez. I, 24-06-2010, n. 29374; Cass. pen. Sez. III, 06-05-2010, n. 22769.

v Cass. pen. Sez. II, 06/12/2012, n. 10994.

vi Cass. pen. Sez. Unite, Sent., (ud. 28-10-2010) 21-01-2011, n. 1963; in tal senso anche cfr. Cass. Pen. , Sez. Unite. Sent. 19.01.2011 n. 1235 che ricostruisce esaustivamente gli orientamenti formatesi in materia.

vii Cass. pen. Sez. Unite, 19/01/2012, n. 22225.

viii Cass. pen. Sez. Unite, 19/04/2007, n. 16568.

ix Nel caso poi tale raffronto interessi fattispecie contrassegnate da specialità bilaterale o reciproca la sentenza n. 1963 del 2011 resa dalle SS.UU non prende chiara posizione, ma si limita a osservare che “spesso è la stessa legge a indicare quale sia la norma prevalente con una clausola di riserva che può essere:

  1. determinata (al di fuori delle ipotesi previste dall’art..);

  2. relativamente determinata (si individua una categoria: per es.: se il fatto non costituisce un più grave reato);

  3. indeterminata (quando il rinvio è del tipo se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge).

x Cass. pen. Sez. Unite, Sent., (ud. 28-10-2010) 21-01-2011, n. 1963.

xi Cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 38 del 2010.

xii Cfr. su tutte Cass. pen. Sez. Unite, 09/07/1997, n. 7738; difforme Cass. civ. Sez. II Sent., 22/01/2008, n. 1299 secondo cui non ha rilievo decisivo il criterio del bene o dell’interesse protetto dalle disposizioni punitive concorrenti.

xiii Cfr. Ministero del Lavoro lettera circolare 4 luglio 2007, n. 8906.

xiv Cfr. Cass. civ. Sez. II, 30/11/2012, n. 21502; Cass. civ. Sez. II, 22/12/2011, n. 28379; aderente invece all’insegnamento delle SS.UU. è Cass. pen. Sez. III, 14/02/2013, n. 9310.

xv Corte cost., 22/07/2010, n. 273 precedentemente anche Corte cost, sent. n. 97 del 1987.

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