Il contratto intermittente alla luce del Jobs Act

Pubblicato il 28 gennaio 2016

Nell’opera di sistematizzazione delle tipologie contrattuali, realizzata con il D.lgs. n. 81/15, non poteva mancare quella relativa al contratto di lavoro intermittente. Di seguito vengono indicati i tratti salienti della disciplina contenuta nel predetto decreto attuativo.

Requisiti e forma

Il contratto intermittente, per la cui conclusione, ai sensi dell’art. 15 comma 1, è richiesta la forma scritta ad probationem, coniuga la subordinazione con la discontinuità della prestazione lavorativa, perché quest’ultima deve essere resa solo nei casi in cui sia richiesta dal datore di lavoro. Nel contratto devono essere indicati tutti gli elementi di cui all’art. 15 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit.. La specialità di tale contratto è stata ritenuta dal Ministero del Lavoro inammissibile ai fini della regolarizzazione per lavoro sommerso. Sicché il datore di lavoro, che intenda regolarizzazione un lavoratore in nero, a detta del Dicastero, non potrà utilizzare tale tipologia contrattuale (cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 26 del 2015).
Come accennato, elemento essenziale del contratto è la discontinuità della prestazione lavorativa, intesa nel senso della non esatta coincidenza tra la durata della prestazione e la durata del contratto. Si tratta di un aspetto che si rinviene nella stessa definizione contenuta nell’art. 13 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit., secondo cui mediante tale contratto il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.
Il carattere discontinuo della prestazione postula l’impossibilità di stipulare tra i medesimi lavoratore e datore di lavoro un contratto di lavoro a tempo indeterminato part-time e un contratto di lavoro intermittente. Tale ipotesi ove realizzata configurerebbe una elusione della disciplina del part-time, con particolare riferimento alle regole poste in materia di clausole elastiche.
Il contratto intermittente può essere concluso a tempo determinato o indeterminato e nel primo caso, per espresso indirizzo ministeriale (cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 4 del 2005), non si applica la disciplina di cui al capo III del D.lgs. n. 81 cit.. Per entrambe le tipologie contrattuali può essere o meno pattuito l’obbligo di disponibilità del lavoratore, con la puntualizzazione che, ai sensi dell’art. 13 comma 3 del D.lgs. n. 81 cit., solo nella prima ipotesi il lavoratore ha diritto all’indennità di disponibilità, specificamente disciplinata al successivo art. 16. Infatti, laddove non sia stato pattuito l’obbligo di disponibilità, il prestatore non s’impegna contrattualmente ad accettare la chiamata del datore di lavoro e dunque non matura il diritto all’indennità, bensì solo la retribuzione per il lavoro effettivamente prestato.

Principio di non discriminazione e riproporzionamento

L’art. 17 rubricato “principio di non discriminazione” stabilisce che il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello. Il trattamento ovviamente è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale.
Analogo riproporzionamento rileva ai fini del computo del lavoratore intermittente per l’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale. Tale lavoratore, stabilisce l’art. 18 del D.lgs. n. 81 cit., è computato nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.

Fattispecie oggettive di ammissione del contratto

Per quanto riguarda le ipotesi di conclusione del contratto, ancora una volta viene affidato ai contratti collettivi il compito di stabilire le esigenze che giustificano il ricorso al contratto a chiamata; e ciò anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. In passato tale indicazione non è stata recepita dalle parti sociali, pertanto la scelta di rinnovare la fiducia a costoro non appare delle migliori.
Comunque, in assenza di una specifica disciplina contrattuale, l’art. 13 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit. stabilisce che “i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.
Al riguardo è stato sostenuto che per effetto dell’abrogazione degli artt. compresi tra il 33 a e il 45 del D.lgs. n. 276/03, operata dall’art. 55 comma 1 lett. d) del D.lgs. n. 81 cit., sarebbe venuta meno la fonte di legittimazione del DM del 23.10.2004 e quindi la stessa possibilità di applicare la tabella delle attività contenuta nel R.D. 2657/1923. La conseguenza, in altre parole, sarebbe quella per cui, fino all’emanazione del nuovo provvedimento ministeriale, l’utilizzazione del contratto intermittente sarebbe limitata alle sole isolate ipotesi individuate dai CCNL che hanno dato attuazione alla previsione normativa: il CCNL studi professionali ovvero il CCNL commercio con riferimento al marketing operativo (così A. Rota Porta, Contratti a chiamata in stand by, in Il Sole 24 Ore del 20 giugno 2015).
La tesi non appare fondata, atteso che l’art. 55 comma 3 del D.lgs. n. 81 cit. ha stabilito espressamente che “sino all’emanazione dei decreti richiamati dalle disposizioni del presente decreto legislativo, trovano applicazione le regolamentazioni vigenti”. Per ciò che concerne il contratto intermittente, ciò significa che, in assenza di regolamentazione della contrattazione collettiva sull’individuazione delle fattispecie oggettive di utilizzo di tale tipologia negoziale, nelle more dell’emanazione del decreto di cui all’art. 13 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit., continua ad applicarsi il D.M. 23.10.2004 e quindi la tabella delle attività contenuta nel R.D. 2657/1923.

Requisiti soggettivi di ammissione del contratto

Anche in ordine ai requisiti soggettivi non si annoverano novità, nel senso che, ai sensi dell’art. 13 comma 2, il contratto può essere concluso con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno.

Limiti giornalieri all’utilizzo del contratto e deroghe

Resta altresì confermato il limite di utilizzo del contratto con riferimento alle ore di lavoro. Segnatamente per ciascun lavoratore il c.d. job on call è ammesso per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari. Da tale limite sono esclusi i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. Con risposta a interpello n. 26 del 2014, il Ministero del Lavoro aveva chiarito che tale esclusione è applicabile alle imprese che risultano iscritte alla Camera di Commercio con codice ATECO 2007 corrispondente ai predetti settori produttivi ovvero che in ogni caso svolgono attività nel settore turistico e dei pubblici esercizi applicando i relativi contratti di categoria.
L’art. 13 comma 3 prevede espressamente che “in caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato”. Tale trasformazione dovrebbe operare con effetti ex nunc e cioè dal momento di sforamento del limite delle giornate.

Informativa alle RSU-RSA

Da segnalare la previsione di cui all’art. 15 comma 2 del D.lgs. n. 81 cit., la quale, salve le previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, ascrive al datore di lavoro l’obbligo di informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali o la rappresentanza sindacale unitaria sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente. In ipotesi di inosservanza dell’obbligo si ritiene che il personale ispettivo possa intervenire con disposizione di cui all’art. 14 del D.lgs. n. 124/04.

Divieti alla stipula del contratto

L’art. 14 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit., conferma che è vietato il ricorso al lavoro intermittente:

  1. per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  2. presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
  3. ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Si ritiene che anche in tale caso la violazione del divieto comporti la trasformazione del contratto intermittente in ordinario contratto di lavoro subordinato, ma siffatta sanzione opererebbe ex tunc.

Lavoratore notturno e visita medica

La nota del Ministero del Lavoro del 22 luglio 2014 ha chiarito come l’obbligo di visita medica periodica e preventiva sia valevole anche per i lavoratori intermittenti nei casi in cui le cui modalità di svolgimento delle prestazioni possano essere ricondotte alla definizione di lavoro notturno (e che siano impiegati in esse per un minimo di 80 giornate lavorative annue). In tale caso, i controlli preventivi devono essere effettuati prima dell’ottantesima giornata di effettiva prestazione.

Comunicazioni preventive alla P.A.

Anche per il contratto intermittente è previsto l’onere della comunicazione preventiva, mediante UNILAV, al Servizio per l’impiego. Unitamente a tale incombenza, il datore di lavoro ha altresì l’onere di comunicare anticipatamente le giornate di effettiva prestazione del lavoratore. L’art. 15 comma 3 del D.lgs. n. 81 cit. ha previsto la possibilità di inoltrare un’unica comunicazione preventiva per “un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni” considerati dal Ministero del Lavoro come “[…] giorni di chiamata di ciascun lavoratore e non come arco temporale massimo all’interno del quale individuare i periodo di attività dello stesso”. Quest’ultima comunicazione non surroga la comunicazione preventiva mediante UNILAV e può essere effettuata mediante sms o posta elettronica utilizzando il modello UNI_Intermittenti all’indirizzo PEC intermittenti@pec.lavoro.gov.it. Solo in caso di malfunzionamento dei sistemi di trasmissione informatici è possibile effettuare la comunicazione al numero fax della Direzione Territoriale del Lavoro competente. In tale ipotesi, il datore di lavoro dovrà conservare la copia del fax unitamente alla ricevuta di malfunzionamento rilasciata direttamente dal servizio informatico come prova dell’adempimento dell’obbligo. Vale aggiungere che nel caso in cui il lavoratore sia chiamato a rendere la prestazione per un singolo giorno o per singoli giorni (ad es. tutti i sabati di un mese), dovrà essere compilato solo il campo data inizio relativo al giorno interessato.
La stessa disposizione di legge rimanda ad apposito decreto ministeriale l’individuazione di eventuali modalità applicative della disposizione di cui al primo periodo, nonché di ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. Nelle more continuano a trovare applicazione le metodologie stabilite con D.M. 27.3.2013, entrato in vigore in data 3.7.2013.
La comunicazione può essere sempre modificata o annullata, purché questo avvenga prima dell’inizio della prestazione di lavoro. Tant’è che in assenza di modifica o annullamento della comunicazione la prestazione è da ritenersi comunque effettuata, con le relative conseguenze di natura retributiva e contributiva. L’annullamento può essere eseguito entro le 48 ore dalla data presunta di inizio della prestazione solo se il lavoratore non risponda alla chiamata. Con nota prot. 39/0016639 del 26 novembre 2012 il Ministero del lavoro ha chiarito che in caso di comunicazione della chiamata mediante SMS, “l’eventuale annullamento dovrà essere comunicato nel medesimo giorno in cui si effettua la comunicazione”.

Regime sanzionatorio

Per quanto riguarda il regime sanzionatorio, la parte finale dell’art. 15 comma 3 stabilisce che in caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400, in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. La sanzione si applica con riferimento a ogni lavoratore e non per ciascuna giornata di lavoro per la quale risulti inadempiuto l’obbligo comunicazionale. Pertanto, per ogni ciclo di 30 giornate, che individuano la condotta del trasgressore, trova applicazione una sola sanzione, per ciascun lavoratore (cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 18 del 2012). Per tali illeciti non è prevista l’applicazione della procedura di diffida di cui all’articolo 13 del D.lgs. n. 124 cit..

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza
Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale

 

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