Il credito Iva del professionista non va soddisfatto in prededuzione

Pubblicato il 15 febbraio 2011 Il credito di rivalsa dell'Iva vantato da un professionista che, eseguite prestazioni a favore di un imprenditore poi dichiarato fallito, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento del debitore “non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi dell'articolo 111, primo comma, numero 1), della Legge fallimentare”.

E' quanto statuito dai giudici di legittimità nel testo della decisione n. 3582 del 14 febbraio 2011, relativa ad una vicenda in cui un commercialista aveva prestato una consulenza fiscale ad una società poi fallita e successivamente, a seguito del pagamento del compenso ricevuto in esecuzione di un riparto parziale, aveva avanzato una richiesta di ammissione al passivo per ottenere l'Iva in rivalsa.

Per la Cassazione, in particolare, la disposizione dell'articolo 6, terzo comma, primo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -  secondo cui “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo” -  non porrebbe una regola generale rilevante in ogni settore del diritto “avendo l'emissione della fattura il solo effetto di determinare, ai fini fiscali, la data della cessione di beni o della prestazione di servizi in un momento diverso da quello della stipulazione cosicché in particolare, sul piano civilistico, la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l'evento generatore del credito di rivalsa Iva, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma a questo soggettivamente e funzionalmente connesso”.
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