Il dipendente non esegue i versamenti? Perde il posto e paga i danni

Pubblicato il 09 febbraio 2021

E’ stato confermato il licenziamento disciplinare impartito al dipendente di uno studio notarile per violazione degli obblighi contrattuali ed il conseguente venir meno del rapporto di fiducia.

In considerazione della sua condotta, peraltro, il lavoratore era stato condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali arrecati all'attività e all'immagine professionale del datore di lavoro.

All’impiegato, addetto alla contabilità, era stato contestato di non aver adempiuto ai versamenti fiscali e previdenziali per conto dello studio notarile, pur avendo annotato sul libro cassa i pagamenti come avvenuti e consegnato al commercialista e al consulente del lavoro del notaio, false deleghe di pagamento quietanziate.

Avverso la decisione d’appello, confermativa del licenziamento e della condanna al risarcimento dei danni, il dipendente aveva interposto ricorso per cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, l’asserita erroneità del percorso argomentativo seguito dal giudice di gravame, per mancata consequenzialità fra le premesse logico-giuridiche e le conclusioni alle quali era pervenuto.

Licenziamento del dipendente di studio per violazione di obblighi contrattuali

Motivi che la Suprema corte, con ordinanza n. 2968 dell’8 febbraio 2021, ha giudicato non meritevoli di accoglimento: a suo dire, infatti, la Corte di merito, all'esito di una approfondita ricognizione delle acquisizioni probatorie, aveva ricostruito la fattispecie in esame con argomentazioni congrue e conformi a diritto.

La decisione era stata assunta sulla base delle testimonianze acquisite, da cui era emerso che il ricorrente aveva la disponibilità del contante e si occupava dei versamenti in banca e della gestione cassa.

Era stato inoltre riscontrato che il controllo delle entrate e delle uscite dello studio notarile avveniva periodicamente sulla scorta di un brogliaccio, la cui compilazione e redazione veniva effettuata unicamente dal dipendente, il quale poi lo esibiva al notaio per il rendiconto.

I giudici di merito, in tale contesto, avevano valorizzato la stessa affermazione dell’impiegato di non aver effettuato pagamenti per l'anno di riferimento, apponendo sui modelli F24 un timbro della Banca custodito presso lo studio, in modo da far figurare il pagamento come avvenuto.

Inoltre, era stato fatto richiamo agli esiti della CTU espletata in via istruttoria, alla cui stregua era stata accertata, sulla scorta della documentazione acquisita, l'effettiva omissione dei pagamenti che rientravano nelle specifiche mansioni del ricorrente e che erano apparentemente attestati dalle deleghe falsificate.

Senza contare che le evidenze documentali ed i riscontri peritali corrispondevano anche con le dichiarazioni rese dal commercialista del notaio, il quale aveva riferito che proprio a causa delle comunicazioni di irregolarità che lo studio aveva ricevuto, era stato verificato che non vi era corrispondenza fra le deleghe, recanti firma e timbro della banca, e le comunicazioni di irregolarità provenienti dall’Agenzia delle Entrate e dall'Inps.

Era, in definitiva, congrua e legittima la conclusione a cui era pervenuta la Corte territoriale: dall'articolato compendio probatorio emergeva con evidenza la sussistenza di un ammanco di cassa nella misura di circa 90mila euro, ascrivibile al comportamento infedele dell'impiegato.

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