Imposta di registro e abuso di diritto, chiarimenti Assonime

Pubblicato il 31 luglio 2020

Nella circolare n. 18/2020, Assonime commenta la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 158/2020, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 20 del Dpr n. 131 del 1986, come modificato dalla Legge n. 205 del 2017.

Nella sua vigente formulazione, il suddetto articolo prevede, in particolare, un criterio di interpretazione degli atti, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, strettamente legato al contenuto dell’atto stesso, senza possibilità di ricorrere a elementi ad esso estranei o ad atti collegati.

Assonime si è ritenuta molto soddisfatta del via libera concesso dalla Consulta al nuovo articolo 20 del Dpr n. 131/1986, essendo stati, così, confermati alcuni principi che la stessa Associazione aveva già sostenuto nelle precedenti circolari nn. 3/2018 e 13/2019.

Abuso di diritto ai fini della determinazione dell’imposta di registro

La Corte di Cassazione aveva ritenuto incostituzionale la nuova formulazione del citato articolo 20, in quanto questa avrebbe – a detta dei giudici di legittimità - violato il principio della capacità contributiva, dal momento che l’esclusione del collegamento negoziale dall’attività di qualificazione giuridica dell’atto avrebbe avuto l’effetto di sottrarre all’imposizione alcune tipiche fattispecie di capacità contributiva.

La sentenza n. 158 del 21 luglio 2020 della Corte Costituzionale, invece, ritenendo infondate le questioni sollevate, ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore definire la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, senza che con ciò rilevino gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto stesso.

In tal modo, la Consulta non ha condiviso la tesi secondo cui la nuova formulazione dell’articolo 20 violerebbe il principio di capacità contributiva, dato che la questione si risolverebbe “in una arbitraria e illogica interpretatio abrogans”.

Assonime: necessario un intervento chiarificatore delle Entrate

Assonime ha accolto favorevolmente la decisione della non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 20, che pone così fine ad un dibattito che ha portato a gravi incertezze.

Secondo l’Associazione, infatti, la nuova formulazione della norma ha proprio la funzione di confermare la natura dell’imposta di registro come imposta d’atto e, quindi, di ricondurre l’articolo 20 circoscritto agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori.

Tuttavia, da un punto di vista operativo, gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria, a prescindere dall’articolo 20, possono contestare eventuali atti finalizzati all’elusione di imposta attraverso le norme previste per l’abuso del diritto (articolo 10-bis, Legge n. 212/00).

Spesso, però, accade che tali contestazioni non rispettino i requisiti imposti dal legislatore, dal momento che vengono riqualificate alcune operazioni senza verificare l’effettiva assenza di “sostanza economica” o il conseguimento di un vantaggio fiscale indebito, cioè contrario alle norme fiscali.

Per tali ragioni, l’auspicio di Assonime è che vi sia un tempestivo intervento da parte dell’Agenzia delle Entrate, per definire in modo preciso i principi in base ai quali gli Uffici possono applicare la disciplina dell’abuso del diritto in materia di imposta di registro ed, in particolare, nelle operazioni di riorganizzazione societaria. Solo in tal modo, infatti, si arriverebbe ad una più certa determinazione degli oneri fiscali gravanti su tali operazioni.

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